
L’impiego dell’esercito è una questione controversa per alcuni punti. Un primo punto è che l’impiego tradizionale dell’esercito è una conseguenza del fallimento della politica, tanto per restare su una frase famosa di Clausewitz. Sun Tsu nel suo testo vecchio di 2500 anni mette di fronte l’impiego l’esercito ad un controsenso. Cioè l’esercito vincente è quello che non è mai utilizzato. Un’ulteriore controversia è recentemente affiorato con la politica preventiva, cioè di utilizzare la forza in concomitanza con il processo politico e questo a scopo di prevenzione; si pensi per esempio alla guerra preventiva dell’amministrazione di G W Bush. Clausewitz e SunTsu in qualche modo si scontrano apparentemente con la situazione sul campo odierno. Il primo poiché si è vero la politica avendo fallito ha spinto l’uso di una forza militare, ma nella fase postbellica l’esercito è ritornato a pieno diritto un elemento della politica e quindi imbavagliato dalla sua salute. Il secondo poiché l’uso prolungato della forza militare conduce a tendenze negative. Bene è sul secondo pensiero che ci vogliamo brevemente chinare. Sun Tsu, ritiene che un prolungamento sul campo dell’esercito, possa a lungo essere influenzato da altri fattori considerati allora esterni, ma con il termine di Battlespace oggi chiaramente semplicemente fattori; la forza dell’opinione pubblica e di conseguenza il supporto, i maggiori costi finanziari e non per ultimo la rigenerazione delle forze sul campo.

Le forze statunitensi sanno bene cosa significa danni collaterali ricordando la non ancora completamente dimenticata sindrome da Vietnam, dove è bene ricordarlo, che la sconfitta onorevole non fu una questione sul campo bensì intorno ai tavoli della politica. Per questo motivo la guerra in Bosnia nel 1995 con la filosofia dei danni collaterali al minimo e di conseguenza anche le proprie perdite era assurta ad una questione di primaria importanza.
Recentemente Alfonso Desiderio commentava su Limes lo stato delle forze armate italiane che sono, a suo giudizio, oltre al livello di guardia. Le forze armate italiane hanno abolito da alcuni anni il servizio di leva obbligatorio e dove la mancanza di soldi, l’invecchiamento del materiale e le missioni all’estero hanno modificato lo stato di salute dell’esercito italiano. Tutti, conosciamo comunque, il valore che le forze armate italiane hanno dimostrato sul campo. Gli italiani hanno un approccio più pragmatico con la gente. Questo fatto mi era stato anche personalmente comunicato da un maggiore italiano che aveva già effettuato due turni a Nasiriyya e che in occasione di un corso NATO ad Oberammergau in D mi diceva che il sapere parlare con la gente, non mostrarsi arroganti, cercare un compromesso erano quegli elementi che li differenziavano da altri membri della coalizione. Ma tra tutti i punti che l’articolista accennava, il tema dell’istruzione e il ricambio mi hanno colpito. Per quanto riguardava l’istruzione, l’articolista annotava l’incapacità che si sta raggiungendo per quanto riguarda la vera natura dell’esercito, ossia la capacità di condurre il combattimento, mentre per quanto riguarda il ricambio delle forze sul campo, “secondo gli standard internazionali, per avere una brigata in missione ce ne vogliono altre 3 in patria per garantire gli avvicendamenti, il riposo e l’addestramento generico per la missione” . La gestione del ricambio è riuscita unicamente, poiché le brigate sono state più volte mescolate, compresse e dove molte persone hanno sulle spalle diversi turni. Anche gli americani, pur essendo la prima potenza globale hanno dovuto utilizzare unità fuori degli schemi standard. Anche la Svizzera con il suo contingente in Kosovo non è al riparo da questi problemi; in effetti, diversi militi hanno partecipato a due o più contingenti.
Pur non entrando in merito sul significato di un impiego internazionale, il carico finanziario che tali operazioni comportano, portano a torto o a ragione a compromessi e oggi, grazie anche alla situazione geo-politica, a farne le spese è la capacità al combattimento a farne principalmente le spese. Probabilmente ora ci è più chiara cosa Sun Tsu volesse intendere nel suo scritto a proposito dove l’esercito in quanto tale deve essere utilizzato il meno possibile.
Un altro aspetto delle operazioni militari è in relazione all’asimmetria delle forze in campo. Un’operazione classica con due forze contrapposte sul campo è per lo più chiara a tutti e oggi le forze statunitensi, rappresentano il meglio della dottrina interforze. La rapida conquista dell’Iraq e la veloce conclusione della campagna irachena, faceva pensare ai più ottimisti alla vittoria totale. Ma la questione post-conflittuale, ormai è evidente a tutti, è stata gestita, sotto diversi aspetti, in un modo non appropriato. Ai fini di questo discorso ci concentriamo su un aspetto asimmetrico, cioè la decisione di disfarsi al più presto di tutte le strutture politiche esistenti e dissolvere l’esercito iracheno. Questa malaugurata operazione però ha prodotto un vuoto di potere e di conseguenza ha eliminato possibili partner di discussione. E questo ha riproposto all’opinione pubblica e agli addetti ai lavori che una cosa è parlare di operazioni militari classiche e un’altra cosa è il controllo del territorio, soprattutto ora anche senza più partner.
In conclusione se in futuro le forze armate dovranno, a fronte degli sviluppi degli ultimi decenni, non solo essere pronte per un combattimento classico, ma anche saper gestire un’operazione di controllo del territorio ed infine, e forse è la nota dolente approntare una strategia d’uscita (exit strategy). Se per il controllo del territorio, grazie alle esperienze degli italiani ci danno un appiglio, è ancora lunga la strada per definire quella strategia d’uscita che corrisponderebbe alla fine di un’operazione. Anche noi svizzeri dobbiamo chiederci il significato che il nostro contingente ricopre in Kosovo. A parte l’esperienza internazionale che ci aiuta a capire e a farci capire, è importante avere in chiaro gli obiettivi. Obiettivi che non si devono ridurre al semplice “siamo li per aiutare”, ma soprattutto avere in chiaro quale sia la strategia d’uscita.