Al termine di ogni guerra, vincitori e sconfitti hanno da sempre cercato di imparare dal passato per prepararsi al futuro. E così per ogni conflitto, guerra dopo guerra, esperienza dopo esperienza. Ma ogni volta ci si accorge che per quanto ben preparati non è quello che gli eserciti hanno vissuto sul campo. Oggi più di ieri forse ci accorgiamo quanto sia difficile focalizzarsi ed impegnarsi a far fronte alle nuovi minacce. Dalla caduta del muro di Berlino è venuta pian piano anche a mancare la simmetria; simmetria delle potenze, confronto fra due o più stati. Come dice giustamente il generale francese Desporte nel suo libro la guerra probabile, la guerra come conosciuta, cioè fra due entità nazionali non è la più pericolosa, ma neanche la più probabile. Resta allora da chiedersi a cosa ci stiamo preparando, quale siano gli assetti confacenti all’uso della forza. È giusto a questo punto domandarsi fino a che punto la dottrina attuale, magari improntata su strateghi come Clausewitz abbia ancora valore oggi giorno. Forse si, forse no. Importante è però rimettersi in gioco, ripensare il ruolo delle forze armate e cercare di prepararsi al meglio non per la forma della minaccia la più probabile o pericolosa, bensì come analizza Desportes, verso la guerra più probabile. In un contesto asimmetrico come oggi lo conosciamo, il solo possesso di una tecnologia superiore o di mezzi militari convenzionali ad alto contenuto tecnologico, non sono sinonimo di vittoria o di successo. Parafrasando in conclusione il generale dobbiamo far prova di innovazione nel pensiero; pensare altrimenti per individualizzare la guerra probabile.
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