Armee am Abgrund

Beni Gafner
mit einem Vorwort von Franz Muheim
und einem Nachwort von Carlo Jagmetti
ISBN 978-3-033-01420-6 – S.229

Non conosco Beni Gafner. Non è importante. Importante è stato constatare che quanto ha scritto non è solo una mera fraustazione letteraria, bensì uno scritto critico rivolto all’istituzione esercito e ai suoi più diretti responsabili. Gafner appartiene certamente a coloro che difendono un esercito di milizia dove le missioni principali del “prodotto sicurezza” ruotano al concetto della neutralità e della difesa del territorio elvetico. Il libro si avvale di una scrittura diretta, frizzante e senza troppi peli sulla lingua. Anche se a volte il giudizio è mite nei confronti dei responsabili, Gafner riesce a coinvolgere il lettore. Di quale esercito ha bisogno il nostro paese? Un esercito di milizia può fare fronte alla tendenza internazionale in atto? Dobbiamo impegnarci al di fuori dei nostri confini? L’autore per il tramite di esempi cerca di mostrarci come l’esercito XXI si stia discostando dai principi che fino a poco tempo fà erano dei saldi punti di riferimento; la neutralità e la difesa del territorio.

Come militare professionista non mi è permesso criticare o discutere le direttive che ricevo. Come cittadino però ho la facoltà di prendere posizione sulle scelte in politica di sicurezza. In contrapposizione al libro di Gafner, troviamo la pubblicazione del capo dell’esercito Christoph Keckeis “Die Zukunft der Schweizer Armee”. Gafner e Keckeis, 2 libri, 2 idee di concepire e vivere la sicurezza del nostro paese. 2 letture che certamente possono offirci interessanti punti di discussione. Non tanto tempo fa, un mio superiore mi aveva testualmente detto di pensare a svolgere il mio lavoro e lasciare ad altri la gestione di determinate tematiche. Da un punto di vista il mio superiore aveva ragione; ognuno di noi deve svolgere la propria missione con competenza, responsabilità. Solo così si potrà di seguito partecipare alla discussione. Da non confondere però è lavorare e basta senza domandarsi il perchè. Probabilmente quello che manca attualmente nella discussione “sulla politica di sicurezza” è un confronto più aperto e (auto)critico che tocchi tutti i livelli che hanno a che fare con il prodotto sicurezza.

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