Micromanagement: una tendenza disastrosa per la leadership di successo

Ecco un altro inglesismo dove fra il serio e il faceto si predilige un’accezione negativa al termine del management attuale. Il micromanagement è una realtà. Una realtà però non nuova. Insomma, una delle tante minestre riscaldate. In ambito militare possiamo parlare anche di micro-condotta, ma non saremmo moderni, quindi rassegniamoci all’assioma inglese. Probabilmente però come primo passo, sarebbe utile tracciare le principali caratteristiche di questo termine.

La perdita della visione strategica

Il micromanagement è la facoltà o la tendenza di un capo nell’intervenire nei livelli inferiori e in diversi ambiti, scavalcando così i livelli di comando intermedi. In ambito militare, secondo Thomas E. Ricks autore del libro The Generals, American Military Command from World War II to today, negli utimi decenni nell’esercito americano si è assistito ad un indebolimento delle capacità strategiche a favore di quelle tattiche, con conseguenze gravi che ancora oggi limitano in qualche modo la leadership militare nell’affrontare le crisi; “rotation and micromanagement proved to be mutually reinforcing flaws. The more soldiers and officers moved, the less familiar they were with one another and, therefore, the more leaders tended to oversupervise, because they could not be sure of who was competent and who was not (…) half the new generals were seen as micromagnagers[1].Tradotto in parole povere, è quando troviamo un generale che è a suo agio nel controllo della rasatura degli uomini, oppure la lucentezza degli scarponi da combattimento. È anche quando un generale emana degli ordini che possono limitare fotemente la libertà di manovra delle compagnie. Ma è anche quando un manager è prolifico di ordini, di direttive, di incarichi che vengono sconsideratamente trasmessi all’insaputa o con la rassegnazione dei livelli intermedi. Questi sono solo due esempi, semplici ma reali. È quindi così negativo questo genere di controlli? Come vedremo nelle discussioni dottrinali, non esiste una risposta binaria uno o due, bensì è doveroso ricercare e valutare più variabili. Ogni capo, leader, generale, dirigente d’azienda, ha non solo il diritto ma anche il dovere di controllare. Sono però le conseguenze che adotta che ne caratterizzano di seguito lo spessore della sua leadership.

Il micromanagement nella sua accezione negativa, limita la capacità strategica o di gestione ad ampio respiro, limita la capacità di essere orientati verso le prossime sfide. Il micromanagement assicura però il successo a breve e a corto termine. Avendo tutto sotto controllo, e in un breve periodo di tempo si ha la possibilità di profilarsi e così accedere al prossimo livello di responsabilità. Così in ambito militare “it is easy to be a spectacular commander for six months. It is toughter to be a spectacular commander for eighteen months[2]. Con un po’ di fantasia, possiamo paragonare il senso della citazione alla nostra realtà svizzera dove i comandi di truppa (servizio di milizia) sono limitati ad alcuni anni. Comunque basta anche gettare un fugace sguardo ai CV di molti manager o ufficiali – e questa volta in ambito professionale – per non di rado costatare una frequenza d’incarichi in degli spazi die due o tre anni. Quale può essere dunque il valore aggiunto di una responsabilità a lungo termine? Domanda sicuramente lecita e legittima. In altre parole e ci spingiamo oltre, il micromanagement è utile per il cover-my-ass, aiuta la de-responsabilizzazione dei livelli di comando subordinati, non coltiva la fiducia, e risolve in modo diretto quello che molti capi non riescono a fare con successo, in altre parole la capacità di delegare. Delegazione intesa come giusta responsabilizzazione dei livelli inferiori. Dopo di tutto però può aiutare la carriera.

Ancora una volta, però tengo a precisare con forza e veemenza che anche se la micro condotta può essere devastante, non significa che il graduato o il manager non possa controllare la lucentezza delle scarpe. Un po’ di pazienza, vedremo di seguito cosa intendo. Prima però dobbiamo chiederci se oltre alle già citate negative predisposizioni del micromanagement, esistano altre cause di questa non più giovane tendenza. “Ein immer dichteres Netz rechtlicher Einschränkungen, die Mediatisierung der Operationsräume und moderne Führungsinformationssysteme, die dem Mikromanagement Vorschub listen, drohen die Auftragstaktik zu erstichen.[3] Ma prima di parlare di condotta per obiettivi, vi chiedo ancora una volta di pazientare.

Controllo si, ma con causa

Come accennato prima, praticare lo sport del micromanagement, non significa esimersi dai controlli. Ci mancherebbe altro. Ma c’è modo e modo. Un piccolo esempio può essere quello del comandante di compagnia che insieme al sgt maggiore d’unità controlla l’ordine delle camere. Il comandante di unità lascia però al sergente maggiore il compito di valutare lo stato. Così facendo, il comandante di unità si rende conto personalmente sia del livello, ma forse anche iù importante della qualità e della volontà del proprio sgtm, senza – in caso di mancanze – ledere la sua autorità di fronte alla truppa. Esempio base che può essere senza remore applicato a tutti i livelli. Una piccola riflessione è quindi la benvenuta nel senso di chiederci come ci comportiamo nell’esercizio el nostro dovere di controllo. A fronte di questi accertamenti (positivi o negativi), abbiamo così altra carne al fuoco per valutare il nostro collaboratore o subordinato dove in caso di mancanze si ha la possibilità di intervenire per colmare le lacune. Se queste deficienze sono poi una constante ecco la possibilità di colmare il deficit per esempio durante un rapporto o meglio ancora durante una sequenza pratica in occasione di un’istruzione quadri e/o supplementare.

La condotta per obiettivi (Auftragstaktik)

Grande risalto[4] è data dalla facoltà dei nostri quadri nell’adempiere ad una missione a fronte di un incarico generale e non da un ordine dettagliato. Malignamente si può dire che la condotta per obiettivi la si usa quando il proprio livello non è in grado di risolvere il problema; anzi il problema lo si risolve ordinando il prossimo livello. Se così fosse: tragico! La condotta per obiettivi non è solo questo; è anche un livello più intenso, dato che ogni missione deve essere il frutto di un’analisi non superficiale, richiede più controllo e capacità di controllo mirato all’obiettivo e una smisurata capacità nel saper delegare con cogniszione di causa. Puo darsi che in alcune circostanze un ordine debba essere molto dettagliato. Ma anche in questo caso bisogna non scadere nel controllo puntiglioso infettando il “management” (livello di condotta) subordinato de-responsabilizzandolo.

Not trusting people is an invitation to organizational disaster. Lt. Gen. Walter Ulmer (1986)

La cultura dell’errore

Per fare questo, è necessario chinarsi sulla nostra capacità di tollerare gli errori. La mancanza della cultura dell’errore da parte del manager può, limitare fortemente l’iniziativa personale dei subordinati, quando anche non la blocca, e dove si corre il rischio anche concreto di essere bollati come incompetenti. Invece è necessario poter fare degli errori, e anche poter avere una seconda possibilità: “when some did not work out, they were removed quickly – but often given another chance in a different job.[5] Alzi la mano chi non ha mai fatto degli errori. Senza la cultura dell’errore non si progredisce. Comunque e in riassunto “sbagliare è umano, perseverare è diabolico”. Quando è stata l’ultima volta che avete, davanti perlomeno ai vostri diretti subordinati, apertamente dichiarato di aver commesso un errore?

“non vi è miglior insegnante delle avversità. Ogni sconfitta, ogni batticuore, ogni perdita, contengono il loro proprio seme, la loro propria lezione su come migliorare le vostre prestazioni la volta successiva”[6].

Agire per evitare la peste

Malgrado la complessità della condotta di oggi, dobbiamo perseverare la capacità di essere semplici nelle intenzioni, nel dare la fiducia ai nostri collaboratori, nell’ordinare gli obiettivi da raggiungere, senza mettere inutili paletti. Questo procedere non ci lesina da fatto di dover controllare ma il controllo deve essere esercitato nel rispetto della gerarchia e non deresponsabilizzando i nostri diretti subordinati. In tutto questo anche la possibilità di fare alcuni errori deve essere contemplata e accettata. Per intenderci, prendiamo l’esempio di un bambino che crescendo, prova prova prova e riprova. Cade e si rialza. Il ruolo dei genitori è quello accompagnarlo durante la sua crescita, lasciandolo provare, lasciandolo anche sbagliare, dandogli delle regole e correggerlo quando è necessario. Questa visione richiede sì uno sforzo supplementare del capo, richiede sì del tempo, ma quando i frutti saranno maturi, potremo assaporarne il vero gusto. Il gusto del successo. Il resto è micro-condotta. Da evitare. Evitare come la peste.

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[1] Ricks, Thomas E. The Generals – American Military Command from World War II to Today. The Penguin Press, New York 2012. ISBN 978-1-59420-404-3. Pag 210-211, 352.

[2] The Generals, pag 277.

[3] Mantovani Mauro, Dr. phil. Prinzipien der schweizerischen Militärdoktrin aus akademischer Sicht. ASMZ, Nr. 09- September 2014, S 37.

[4] Führung und Stabsorganisation der Armee 17 (FSO 17), Auftragstaktik, Kap 2.5, S. 8-9. – oder – Taktische Führung 95, Kap 4.1.1, S. 23).

[5] The Generals, pag 8.

[6] Og Mandino, citazione.

1 commento su “Micromanagement: una tendenza disastrosa per la leadership di successo”

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