Nell’articolo “La rivincita di Sparta” di Fabio Mini, pubblicato sul numero di LIMES 2/2012 con il tema portante “A che serve la Democrazia“, ho trovato una buona riflessione sulla relazione fra personale militare le istituzioni politiche.
Innanzitutto è facile pensare che un sistema militare porta in sé un cliché di autoritarismo ma, come dice Mini
La non democraticità del sistema militare è un cruccio soltanto per gli antimilitaristi e per coloro che fanno della democrazia un’ideologia di pace, salvo ricorrere alla forza quando l’ideologia richiede l’uso delle armi: il che significa sempre.
Pensiamoci bene. La nostra democrazia permette a chiunque di candidarsi per un posto politico e come rileva l’articolista è possibile che una comunità di assassini elegge democraticamente un assassino, come pure la maggioranza di ignoranti e sprovveduti può eleggere un perfetto idiota. anche questo è democrazia (La rivincita di Sparta, pag 91). Quindi senza pretendere di offendere nessuno, anche la democrazia ha i suoi limiti. Certamente è nella mente di tutti che sempre un minor numero di persone va alle urne e quindi decide per i molti che si astengono. Se facciamo ulteriori calcoli, però ci accorgiamo che i vincitori di elezioni sono ancora una minoranza e che quindi in definitiva una piccola percentuale in fin dei conti prende le decisioni. Questa è la nostra democrazia.
Un’ulteriore interessante riflessione è che il sistema militare viene additato da Mini come un sistema calibrato per essere semplice, intuitivo per agire presto e bene (pag 93), mentre – riferendosi ai sistemi autoritari – dice che è il sistema autoritario ad aver emulato quello militare, non il contrario (pag 93). È prassi comune sentire da chi non vuol capire o ascoltare, affermare che a militare bisogna spegnere il cervello, oppure che è solo una mera questione di dare ordini. Ma probabilmente sfugge a molti che il sistema militare, e parlo per esperienza, ha – in accordo con il testo di Mini – un sistema partecipativo, professionale e competitivo. Un generale, comandante non può permettersi di fare tutto da solo. Per redigere un piano e/o strategia, il comandante necessita l’apporto indispensabile dei suoi subordinati e questo su tutti i livelli. È altresì vero che alla fine è solo il comandante che porta il peso della responsabilità e quindi delle scelte.
Per rendere un sistema militare professionale, meritocratico e partecipativo non c’è voluta insomma la democrazia: sono bastate l’etica che ha stabilito i paletti dell’azione militare, la chiarezza degli scopi, la certezza del perseguimento del bene comune, la consapevolezza di rendere un servizio indispensabile alla comunità, la disponibilità a sacrificare il bene personale, la dignità di ogni ruolo professionale, la disciplina delle intelligenze e dei comportamenti, la centralità del comando e lo spirito di corpo. Non è un sistema democratico, ma funzione. E se non funziona (successe spesso) è perché qualcuno di questo fattori è stato falsato o corrotto (pag 92).
Sono certamente parole forti e sono conscio che a molti fanno arricciare il naso. Probabilmente la personale esperienza nell’esercito di milizia può influire anche negativamente sul porsi di fronte alla disciplina e all’autoritarismo che in caso di necessità accresciuta è determinante per giungere all’obbiettivo. Oggi assistiamo in Svizzera ad aspre democratiche discussioni che vertono intorno alle nostro esercito di milizia; la questione degli aerei di combattimento, le missioni dell’esercito, gli effettivi dell’esercito, il finanziamento dell’esercito. Tutte e altre discussioni possono, a medio-lungo termine essere dannose per l’istituzione politica stessa e per l’esercito.
Il connubio tra potere politico e potere militare salta anche quando il primo (autoritario o democratico che sia) non dà ordini, non concede deleghe, scarica responsabilità verso il basso, non stabilisce scopi e obiettivi, non dà valore alla sicurezza, non riconosce dignità allo status militare e non assegna le risorse. Allora il sistema militare entra in crisi … (pag 92).
Non voglio assolutamente affermare che il sistema (militare) sia in crisi, ma converrete che alcuni segni sono all’orizzonte. E questo basta per farci riflettere! A differenza di altri paesi il nostro esercito è essenzialmente di milizia. Per il nostro Paese, per la nostra cultura e per la nostra sicurezza è sicuramente un modello valido e sicuro. Ma anche questo modello necessita di sostegno, chiarezza e dignità.