La crociata ideologica e opportunistica

Fatti e misfatti fra due consanguinei; guerra e terrorismo

Questo articolo è stato pubblicato la prima volta sulla Rivista militare della Svizzera Italiana (RMSI) sul numero 6, del dicembre 2003. Dato che, inavvertitamente non avevo pubblicato sul mio blog il contenuto, ho deciso di riproporlo. Penso che malgrado la prima data di pubblicazione, la tematica è ancora attuale.

La guerra ha conosciuto un’evoluzione a matrice, cioè è impossibile descrivere l’evoluzione della guerra immaginandola su un asse temporale. Il terrorismo poteva essere considerato come una forma circoscritta a problemi locali. Una sorta di linfa, anticamera di conflitti di più ampio respiro. Una forma di resistenza all’interno di uno stato. Ora con l’internazionalizzazione, questo terrorismo è uscito dal sottosuolo per assumersi un’importanza da star hollywoodiana, più di quanto lo era stato fino a pochi anni orsono.

L’ormai famoso undici settembre ha innescato interessanti, ma anche pericolose relazioni nella definizione di cosa sia una guerra e di cosa sia il terrorismo. Nel diritto della guerra classica, un conflitto viene descritto come una contrapposizione di due entità ben definite, cioè una guerra fra due stati. Così l’ingerenza all’interno di uno stato, per esempio di fronte a contrasti etnici o di ideologia politica, non era da porre allo stesso livello della classica forma conosciuta. Durante gli anni novanta, al termine della contrapposizione bipolare, è emersa un’altra tendenza. In nome dei diritti dell’uomo il significato della guerra cambia volto. Così il concetto di non ingerenza negli affari interni di uno stato prende, durante il decennio antecedente il nuovo millennio, un nuovo significato rispetto al passato. A torto o a ragione questo cambiamento mette in una diversa luce tensioni fino a questo punto protette dal diritto classico della guerra. La non ingerenza cambia volto; a questo proposito, ad esempio e per rimanere in Europa, vi è da menzionare l’intervento nei Balcani, dove l’opposizione alla guerra è stata meno evidente grazie anche alla leva esercitata dagli ambienti politici rivolti all’opinione pubblica, sui diritti dell’uomo.

All’indomani del crollo delle torri gemelle ecco un’altra svolta della guerra. Assodata, ormai la possibilità di un intervento ingerente sotto l’egida umanitaria, ora anche in nome del terrorismo, è possibile condurre operazioni belliche sminuendo il concetto di non ingerenza ad un ruolo ancora minore e con il tempo divenuto ormai obsoleto. Prima però di riflettere su cosa sia o cosa rappresenti il terrorismo e che relazione abbia con la guerra, è utile gettare uno sguardo alla metamorfosi che la guerra, ha subito durante i secoli.

La guerra ha conosciuto un’evoluzione a matrice, cioè è impossibile descrivere l’evoluzione della guerra immaginandola su un asse temporale. Questo perché le tematiche, a volte ricorrenti, ne hanno caratterizzato la metamorfosi. Troviamo così la guerra di sopravvivenza, la guerra di conquista, la guerra economica, la guerra coloniale, la guerra ideologica e, questa è una “novità”, la guerra al terrorismo.

La guerra di sopravvivenza è quella guerra che, di fronte a situazioni estreme, colui che è o si sente minacciato deve per forza di cose intraprendere un’azione. Così possiamo prendere ad esempio le tribù di un’era ormai a noi lontana costretti a rubare, uccidere per sfamare la propria gente, oppure di fronte ad avversità naturali. Per ritornare ai nostri giorni, lo Stato di Israele che essendo l’unico stato ebraico circondato da Stati Arabi si sente perennemente minacciato. La minaccia, giusta o sbagliata che sia, è la fine della propria esistenza.

La guerra di conquista è termine logorato dai secoli, da ricondurre sicuramente al periodo dell’impero Romano fino a prima della caduta dell’impero Ottomano, ultimo grande “potere assoluto” caduto nella dissoluzione. La guerra di conquista era per lo più un concetto naturale e necessario volto a rendere il regno o il territorio più grande, più forte, garantendone così la sopravvivenza in proiezione futura.

Parlando di guerra economica non si può non menzionare le due grandi guerre 1914-1918 e 1939-1945). È infatti la situazione economica, scaturita a fronte della rivoluzione industriale, ad aver provocato la rottura di equilibri che hanno contraddistinto l’era coloniale. Un’era indaffarata a garantire le materie prime e al successivo smercio di prodotti nel continente europeo ed extraeuropeo. La persistente lettura coloniale, la paura connessa al fatto di rimaner tagliati fuori dal grande mercato e la non ancora stabile situazione economica ha portato il continente europeo a conoscere i due conflitti mondiali, giocati principalmente sul proprio suolo. A fronte del potere coloniale ormai debole si è consumata anche la decolonizzazione terminata a metà del 20esimo secolo.

Il periodo post bellico lo si può contraddistinguere con la contrapposizione ideologica o la guerra ideologica di due grandi blocchi; il blocco comunista e quello occidentale. Una guerra sporca giocata su altri campi), una guerra pericolosa ma, e forse questo è un controsenso, allo stesso tempo una guerra stabile.

Appeso l’abito ideologico-politico, ecco che la guerra ne ha rivestito un altro; l’ideologia dei diritti dell’uomo. Bosnia, Afghanistan, Irak. Un dubbio in chiusura è sul concetto di guerra opportunistica. La prima guerra in Irak è stata motivata da aspetti umanitari, oppure da meri calcoli economico-opportunistici?

Ma eccoci all’ultimo ambito, l’ambito del terrorismo. Questo ambito è ancora più complesso dei precedenti; veste l’ideologia dei diritti umani abbinata all’avversità ripugnante della visione del terrorismo internazionale.

Clausewitz nel suo famoso pensiero “la guerra è la continuazione della politica” ha saputo individuare oggi più che mai l’essenza della guerra, cioè la politica. Per questo motivo, indipendentemente da quale vestito ha indossato, indossa o indosserà la guerra, la politica è e sempre sarà la linfa da cui emergeranno le tendenze, le decisioni.

Definiamo ora il terrorismo. Sono i combattenti dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna)? Sono i membri dell’IRA (Irish Republican Army)? Sono i combattenti ceceni? Oppure sono gli integralisti islamici? Sono terroristi coloro che si oppongono alla maggioranza mediante l’uso della forza? All’ordine costituito? La risposta non è semplice. Seguendo il nostro pensiero e il nostro modo di concepire le cose – e qui mi riferisco all’ideologia occidentale – queste persone sono terroristi.

Proviamo però a girare la medaglia entrando nell’ottica di un membro dell’ETA. A questa persona, o gruppo, l’etichetta di terrorista sta sicuramente stretta, e questo per il fatto di sentirsi in guerra contro un sistema, un oppressore. Cos’è per esempio il movimento ceceno: un movimento terroristico o un movimento oppresso? Medesima riflessione per il Tibet o per l’Africa, dove l’Europa, ha qualche responsabilità su quanto è successo e sta tutt’ora accadendo. Gli indiani d’America. Tanto per essere più completi.

Una prima constatazione è che il termine terrorista ha diverse sfaccettature. Quello che noi etichettiamo come terroristi magari sono combattenti e/o viceversa. Sun Tzu, nei suoi scritti sulla guerra perorava la guerra nell’indebolimento prima di tutto della capacità di rifornire l’esercito, dunque colpendo la produzione e di conseguenza la sua popolazione. Era anche lui dunque un terrorista? Non si vuole giustificare né la guerra, né il terrorismo. Ogni attentato che costa la vita di innocenti fa male, molto male. La via che viene intrapresa è contraddistinta da molti fattori legati alla situazione o al contesto. Il risultato dell’azione è quindi, a dipendenza della circostanza, ma anche dalla cultura di appartenenza, un impatto emozionale di grande o piccola eco.

Il terrorismo poteva essere considerato come una forma circoscritta a problemi locali. Una sorta di linfa, anticamera di conflitti di più ampio respiro. Una forma di resistenza all’interno di uno stato. Ora con l’internazionalizzazione, questo terrorismo è uscito dal sottosuolo per assumersi un’importanza da star hollywoodiana, più di quanto lo era stato fino a pochi anni orsono. Il pericolo di questo nuovo volto è quello di confondere il gruppo etnico, o politico che sia, con un gruppo terroristico. Questa, semmai, è la sfida della comunità internazionale nel prossimo futuro. Distinguere quale sia il terrorista e quale sia il combattente in cerca di una propria libertà o di un’identità finora negata.

Esagerando nel paragone, si potrebbe affermare che un gruppo oppresso in mezzo al deserto ha meno possibilità di essere riconosciuto come entità oppressa, ma ha più possibilità di essere bollato come gruppo terroristico. Viceversa un gruppo, sul cui territorio sono presenti materie prime, può sperare nell’interesse di una certa politica e quindi essere riconosciuto come un problema umanitario anziché come gruppo terroristico.

In nome dei diritti umani si commettono crimini. In nome della politica si commettono crimini. In nome della ricchezza si commettono crimini. In nome dell’egoismo si commettono crimini. In nome del progresso si commettono crimini. Siamo dunque tutti colpevoli?

Malgrado questo tracciato pessimistico dobbiamo cercare di avere un’attitudine positiva, ma soprattutto, realistica. La guerra esiste. Il terrorismo esiste. Tutti e due sono legati da sottili similitudini. La guerra, il terrorismo sono sempre esistiti, si sono trasformati, e noi con loro. La dignità umana deve essere rispettata. A volte sotto l’etichetta umanitaria, ma per scopi politicamente divergenti, si intraprendono delle guerre. L’opportunismo della politica, se potesse o può aiutare la dignità, è accettabile. Questo è il prezzo che dobbiamo pagare.

Durante il nostro percorso, abbiamo evidenziato i rapporti e le mutazioni che in diversi anni sia la guerra sia il terrorismo hanno subito. Guerra e terrorismo. Due nomi, due significati che, seppur distinti, sono tutto sommato anche simili. Per concludere, possiamo affermare che la differenza tra guerra e terrorismo ha un solo responsabile. La politica. E la religione?

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