La vetta del successo professionale

L’articolo esplora alcuni aspetti del nostro percorso professionale. La carriera verticale vs. la carriera orizzontale. La professione prima di tutto. Se non scali la piramide non sei nessuno. Per fare carriera si può essere intelligenti, ma non basta. Per fare carriera bisogna concentrarsi … sulla carriera. Lavorare solo e per il fine dell’azienda o dei propri dipendenti non basta. Oppure … carriera? Ma chi me lo fa fare!

In un articolo apparso sull’edizione di Ticino Management (pag 20), del mese di dicembre dello 2013, l’autrice Morena Ferrari Gamba (Senior Partner Lwp Ledermann Wieting & Partners) rifletteva sulle dinamiche del riconoscimento e della prestazione dei dipendenti.

Un lavoro non gratificante rende le persone infelici e le persone infelici lavorano male (M.F.Gamba)

Ma chi me lo fa fare?: Carriera verticale oppure carriera orizzontale

Nel mio post dello scorso anno, “riconoscimento e prestazione” avevo già avuto modo di esprimermi su alcuni aspetti della prestazione con l’accento su un’organizzazione particolare: l’esercito. Ora è giunto il momento di affrontare un aspetto diverso. Il confronto fra una carriera verticale contrapposta alla carriera orizzontale. Per fare questo vi chiedo semplicemente di riflettere su cosa siete oggi e dove volete arrivare domani. Prendete in considerazione il vostro ambiente professionale e domandatevi quali sono gli aspetti, le caratteristiche, le dinamiche per affrontare la scalata verso la vetta del potere. Ho intenzionalmente evitato di utilizzare “verso la vetta del successo”.

bil_08_co_coverInnanzitutto, questa fobia dello scalare a tutti i costi, è certamente da ricondurre alla teoria della piramide di Maslow. Questa mia osservazione espressa già per altro anche nel mio articolo del 2014, trova conferma anche nell’edizione di aprile (08/2015), della rivista Bilanz  (www.bilanz.ch) nell’articolo “Karriere – nein danke! (Carriera – no grazie),

”Die Schweizer haben die oberste Stufe in der Maslowschen Bedürfnispyramide erreicht”

“Gli svizzeri hanno raggiunto la cima della piramide di Maslow”. Così non ci resta che prendere atto anche della società odierna; hai una bella macchina?, una bella donna o uomo?, hai una bella casa?, un bel lavoro?. Ecco tu hai successo! Ti accontenti di poco? Sei un perdente! Così è come ragioniamo; o meglio come abbiamo fino ad ora ragionato.

La carriera: un mix equo fra vita professionale e vita privata

Ma i soldi non sono tutto. Diverse persone, si accontenterebbero anche di un buon lavoro, ben retribuito senza dover essere costretti a marciare su corpi dei colleghi o sacrificare la propria famiglia e questo in nome del successo. Ma ecco quanto avevo già formulato:

Sono ancora tante le persone che giudicano il successo in funzione del tuo grado o della tua funzione.

La carriera verticale e orizzontale è anche una necessità dei nostri giorni. L’esempio di Luisa Adani sul Blog io cambio lavoro, anche se del 2009 ci dà una prima idea su quali siano le problematiche della carriera orizzontale. In una struttura militare come l’esercito di milizia svizzero, questa voglia di fare carriera fa parte del DNA di ogni ufficiale (o sottufficiale). Siamo ufficiali, quindi vogliamo fare carriera. Si, ma non a tutti i costi! Non più! Quindi, carriera sì ma fino ad un certo punto. Diversi colleghi probabilmente, vorrebbero potersi sviluppare maggiormente nel senso orizzontale anziché verticale. Questo desidero però è irto di difficoltà. Queste persone rischiano di essere etichettate come incompetenti o senza aspirazioni. Anche il sistema attuale non aiuta certamente. Se durante i primi anni della carriera il contatto con la truppa, con le reclute e i giovani quadri è ben visto (ci mancherebbe altro), con il proseguo della carriera questo contatto diventa sempre più difficile. Vuoi per la differenza di età, oppure perché semplicemente a 50 anni non si ha più la vitalità o forza per essere l’esempio che si dovrebbe essere. Ma se non hai fatto carriera, potrebbe capitarti benissimo ti ritrovarti in questa situazione. Così, sarebbe auspicabile, benché sempre nella stessa classe di salario di valutare e investire in un percorso orizzontale che possa dare soddisfazioni al collaboratore, all’istruttore, all’ufficiale. Ognuno di noi deve pretendere di essere rispettato, considerato per il lavoro, e per la prestazione che fornisce e non solo per la lucentezza dei propri gradi.

Generali senza buoni ufficiali, avrebbero la vita corta. Ufficiali senza buoni soldati altrettanto.

Ognuno ha bisogno dell’altro. In questo senso, dobbiamo cambiare la nostra mentalità.

Il no degli Svizzeri alla carriera: stiamo diventando dei rammolliti?

Torniamo ora brevemente sulla reticenza degli svizzeri in generale e a questa tendenza rilevata dalla rivista Bilanz, dove viene spiegato come il raggiungimento della piramide di Maslow, abbia in qualche modo addolcito gli svizzeri.

Die erste Generation verdient das Geld, die zweite verwaltet das Vermögen, die dritte studiert Kunstgeschichte
und die vierte verkommt vollends.

Forse nelle parole di Otto Leopold principe von Bismarck, troviamo una traccia: “la prima generazione guadagna i soldi , la seconda gestisce il patrimonio , la terza studia la storia dell’arte studiati e la quarta degenera completamente. La nostra eredità è enorme. Il nostro benessere è una realtà. Insomma non vogliamo più toglierci la proverbiale paglia dal nostro posteriore. Forse è vero. Vero è anche che una buona gestione delle proprie risorse, della propria vita professionale e privata può essere più arricchente che una vita dedita solamente al lavoro e al successo. Situazione che potrebbe anche giovare alla qualità e alla prestazione professionale. Questo è anche vero nell’esercito. Non tutti possono divenire generali, non tutti possono diventare colonnelli. Giusto provare. Niente da recriminare. Bisogna però anche rendere più attraenti le altre posizioni professionali, forse meno appariscenti, ma comunque non meno importanti. Anche nel civile, non tutti possono diventare top-manager. E quindi concordo con gli articolisti della rivista Bilanz per quanto concerne la tendenza in atto. Però ho qualche dubbio nel caratterizzare le forze lavoro di oggi come più interessate al proprio benessere che alla carriera. Nella società di oggi, più di ieri, ogni collaboratore è sempre di più uno specialista. Oggi più di ieri, questo specialista è un “valore aggiunto”. L’ho sempre detto e ne sono convinto, uno studente universitario, magari anche con un dottorato non è necessariamente un buon manager o capo. In poche parole, avere una mente brillante non significa essere anche un grande capo. Un capo, un leader, una persona da seguire.

La carriera: sapere chi siamo e dove vogliamo andare

Quindi, concordo con le parole di Paolo G. Bianchi espresse nel suo Blog formazionezero, i cambiamenti della nostra società e quindi anche del mercato del lavoro sono delle possibili cause che avvalorano sempre di più il bisogno di consolidare o esplorare le possibilità di saper programmare la propria carriera non solo verticalmente, ma anche orizzontalmente. Per fare questo, dobbiamo però anche conoscere i nostri limiti, le nostre aspirazioni, e la nostra volontà di sacrificio, come per esempio tenersi sempre aggiornati. Insomma, dobbiamo conoscere e prendere atto delle nostre forze e debolezze, formulando di conseguenza le nostre priorità professionali e private. Quello che è necessario evitare è quindi essere promossi fino alla posizione che sancirà la nostra incompetenza. Incompetenza come somma delle riflessioni citate in chiusura di questo articolo.

 

1 commento su “La vetta del successo professionale”

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