L’inno al “che cosa è?” – “is das?”

Il presente
Ha poco più di due anni e sei mesi, e da diversi mesi, mia figlia è solita chiedere “che cosa è” o meglio, dice “is das?”. “is das?” significa “was ist das?” (tedesco), oppure “Was isch das?” (svizzero tedesco). È una domanda a forti connotazione replay; una, due, tre, quattro … “is das?” È un gioco, è la scoperta del mondo. È attenta, curiosa, ha sete di sapere. È una spugna. “is das?”. La mamma risponde; “das ist eine Kaffetasse”, il papà risponde “è una tazzina del caffé”. La bimba ascolta, elabora e poi dice alla mamma, o al papà “mamma seid Kaffetasse”, pap(p)a seid “tazzina caffè”. Forse non dico niente di nuovo. Ne sono sicuro. I piccoli sono come delle spugne, vogliono sapere. Assorbono. Se poi hanno la fortuna di apprendere due lingue materne, … insomma è … un momento che resterà sicuramente indelebile nella mia mente. Questa voglia di sapere, e il martellante ritmo della stessa domanda. È una musica. Una dolce musica che accompagna la crescita di questo minuscolo essere. Ah a proposito, una prossima possibile domanda verosimilmente sarà “wieso?”, “perché?”

grafica rappazzo 2014
grafica rappazzo 2014

Il passato
C’era una volta un bambino. Piccolo, non andava ancora alle elementari. Anche lui, chiedeva “che cosa è”. Anche lui era perseverante. Gli occhi brillavano. Un giorno con entusiasmo e pieno di allegria inizia la scuola dell’obbligo. Tante cose da imparare. Tante novità. Ma il fuoco ben presto si spegne. Le giornate passano, e le domande si diradano. Ha paura a rispondere. L’interesse per il nuovo diminuisce. Questo bambino, ricorda un giorno particolare. Un giorno, quando la maestra spiegò a questi bambini che la rete ferroviaria collega tutto il mondo. Al bambino gli brillano gli occhi. Lui sa! Sa che non è vero. Questo bambino … ok, diciamolo chiaramente, … questo bambino ero io! Così alzai la mano e fiero dissi alla maestra che la ferrovia terminava a Zurigo. Io, a Zurigo ci ero stato. Con mio padre. Avevo visto. Vidi i binari terminare. La maestra disse no, io dissi di si, lei rispose di no, io di… “pam” ricevetti un sonoro schiaffone. Le cinque dita si stampigliarono sulla mia faccia. La ferrovia COLLEGA tutto il mondo! … silenzio.

L’oggi
Ancora oggi mi ricordo di questo spiacevole episodio. Non dico che persi il mio interesse a causa di questo episodio. Fu una concatenazione di situazioni. La fiamma che ora vedo in mia figlia è per me una cosa bellissima. Mi fa pensare alle cause. Ora ….. che ho all’incirca 47 candeline, ho superato brillantemente il silenzio di allora. Oggi mi pongo ancora tante domande e tanti perché …. Ora, in veste di genitori, siamo contenti di rispondere a queste domande; rispondiamo ognuno nella propria lingua madre, tedesco e italiano. Vogliamo rendere partecipe nostra figlia di quanto la circonda. Vogliamo che la spugna si impregni di sapere. Spieghiamo. Motiviamo. Senza sforzare. Senza esagerare. Ora attendiamo la prossima fase. La fase del perché. Aspettando il “perché?”. Evviva il “che cosa è”… Evviva “is das?”

4 commenti su “L’inno al “che cosa è?” – “is das?””

  1. L’amore paterno che traspare da questo post mi ha molto colpito. La ringrazio per aver condiviso con noi questi dettagli della Sua vita familiare.
    Anch’io ho avuto problemi con alcuni dei miei docenti, anche molto pesanti. Questi dissidi hanno sempre avuto una sola ragione di fondo: il mio talento per il Latino e Greco. Cerco di spiegarmi meglio.
    Quando diventa chiaro che tu hai un talento, che tu riesci bene in qualcosa, soltanto una minima percentuale di professori proverà ammirazione per le tue capacità, e ti aiuterà a sfruttarle al meglio. La stragrande maggioranza dei docenti invece proverà invidia per questa tua ricchezza, e farà di tutto per strappartela via.
    E siccome non è una cosa che possa essere strappata via con la forza bruta, come faresti con una collana o un bracciale, l’unico modo per togliertela è cercare di farti il lavaggio del cervello, e di convincerti che tutto questo talento in realtà non ce l’hai.
    Questi tentativi di farmi perdere la fiducia nei miei mezzi li ho subiti diverse volte da parte dei miei professori di Latino e Greco, sia al liceo che all’università. Io per fortuna riuscii a conservare la mia autostima, e 2 mesi fa mi sono laureato in Lettere Antiche con 110 e lode.
    Non l’ho fatto sapere a nessuno dei professori che hanno tentato di distruggermi: il solo fatto di perdere tempo a rintracciarli significherebbe dargli un’importanza che non meritano.

    1. Scrivo quello che scrivo, perché sono quello che sono. Buongiorno e grazie per il gradito commento. Ognuno di noi ha vissuto, vive e vivrà situazioni positive o meno. Situazioni che per un concatenarsi di eventi, vuoi per la famiglia, l’ambiente circostante, il vicinato, il luogo, formano il carattere e in un certo senso costruiscono e definiscono in parte (più o meno preponderante) la nostra personalità. Tutto quello che scrivo è così frutto della mia esperienza. A dire il vero ho difficoltà a scrivere qualche cosa che è completamente astratta alla mia realtà o esperienza.

      I tentativi da lei citati di reprimere la fiducia può essere letta anche sotto un altro punto di vista. Mi spiego. La scuola ha un suo costrutto, una sua programmazione. I docente (dotato o meno che sia) ha un incarico, trasmetterci, secondo un piano ben definito, il contenuto di questa o quella materia. Non importa se è interessante o meno. Importa solo la trasmissione. Purtroppo e qui è il punto, è come voler insegnare ad un pesce ad arrampicarsi su un albero. Probabilmente, con l’esercizio e la dedizione ci riuscirà, ma alla fine gli mancherà (al pesce) la necessaria motivazione. Troppe energie per raggiungere un risultato non voluto. Forse questo è il problema. La nostra scuola persegue una sua strategia personale a scapito dei reali bisogni degli allivevi. Io ne sono un esempio. Non volevo studiare (forse anche perché non ne comprendevo l’importanza). Quando, con l’età, mi sono resoconto che lo studio mi avrebbe fatto ulteriormente crescere (bisogno personale), mi licenziai dal mio posto di lavoro per studiare. Ma allora – e in parte ancora oggi – il sistema scolastico non ha il setting perfetto per questa modalità. E in punta di spillo ancora un’ultima osservazione sul talento. Sono convinto che in ognuno di noi c’é del talento … Preso come certo, che la scuola non è pronta a sostenere questa tipologia anomala ai programmi scolastici, la cura del talento è lasciata alla competenza dei docenti. Docenti che insegnano con causa e convinzione avranno meno problemi a sostenere. Docenti mediocri, docenti ligi al solo dovere, o … per obbligo per divenire professori (gli assistenti o i professori che passano più tempo nella ricerca che davanti ai propri allievi …. evitiamo sprechi di parole). Voilà, sono al termine dei miei pensieri.
      Ancora una buona giornata.

      1. Mi trova d’accordo quando scrive che per certi docenti alcuni fattori estranei al rapporto con gli alunni, come il programma da completare a tutti i costi per i professori liceali e la ricerca per quelli universitari, sono più importanti della trasmissione del proprio sapere ai propri allievi. Buona giornata anche a Lei, e a presto! : )

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto