Come faccio a prendere la decisione giusta?

Non è raro che una domanda del genere assilla tutte quelle persone che devono prendere una decisione. Anche dare una risposta a questo quesito non è compito facile. Non esiste una risposta chiara e inequivocabile. Potrei asserire che qualunque vostra ragionevole risposta possa essere considerata giusta, laddove però io trovo la mia opinione migliore. Sono pertanto dell’opinione che una decisione che consideriamo giusta è una convinzione relativa, stabilita di volta in volta dalle persone e dalla società e, per questo variabile a seconda della cultura, del contesto sociale e dell’epoca considerata.

Mi sono preso del tempo per riflettere su questa semplice ma dagli esiti incerti domanda; “come faccio a prendere la decisione giusta?”. Cosa significa innanzitutto decidere? Cosa caratterizza l’aggettivo “giusto”? A questo punto mi sembrava chiaro che non avrei potuto liquidare il mio non sapere (cioè ignoranza) con una semplice risposta.

“L’istante della decisione è una follia” così una frase attribuita al filosofo danese Søren Kierkegaard (Copenaghen, 1813-1855), ha attirato la mia riflessione sul sostantivo “follia” [1], inteso come trascendenza dei nostri codici, regole e processi che regolano di norma molte delle nostre decisioni. Follia perché quasi sicuramente ci portiamo appresso il peso delle decisioni; qualunque esse siano. Giuste o sbagliate. Popolari o impopolari.

L’istante della decisione è una follia

S. Kierkegaard

Ma torniamo alla nostra domanda e cerchiamo di capire il significato del verbo “decidere” (entscheiden) e dell’aggettivo “giusto” (richtig). Per questo ragionamento mi baso sulla semantica di lingua tedesca, che è da ritrovare nel medio alto tedesco (decidere in base a criteri p.es. di legge, rispettivamente criteri riconosciuti). Scomponendo il verbo, abbiamo così due elementi da considerare il prefisso “de” (ent), cioè il punto del cambiamento, oltre il quale non è più come prima e da “cidere” (scheiden), ovvero separarsi dalla situazione antecedente. Quindi un capolinea, una fine con un chiaro distacco da una situazione ante. Quindi il verbo decidere è un verbo potente dove molte persone da un lato non ne sono coscienti, dall’altro sottovalutano il valore di questo atto.

Ora è la volta di chiedersi quale sia il significato di giusto. Chi determina il giusto e lo sbagliato? Qui troviamo una possibile interpretazione che ci viene proposta dal vocabolario on-line della Treccani: “(…) persona, che osserva i principî della giustizia, che opera e giudica secondo giustizia. Che risponde perfettamente alle esigenze, allo scopo, o all’uso a cui è destinato; quindi adatto, appropriato, conveniente, opportuno”. Possiamo asserire che il giusto (e lo sbagliato), è una codifica dell’uomo normalmente accettata come norma o come legge. Il giusto (e lo sbagliato), però non sono immutabili nel loro significato, ma sottostanno all’Abitus, cioè di una condivisione di uno spazio sociale che aspira ad una medesima condivisione o percezione tra i diversi componenti di una società (storico – culturale) in cui viviamo.

Facciamo ora un esempio. Tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Seicento, nell’intera Europa ci fu la grande Caccia alle Streghe (Malleus Maleficarum), che mise al rogo migliaia di donne. Oggi diremmo sicuramente che era sbagliato, non giusto. Ma allora questa pratica era riconosciuta come giusta. Così anche nella nostra quotidianità, quello che per alcuni può essere oggettivamente e chiaramente giusto, per altri è semplicemente (e con validi argomenti) sbagliato.

Cosa definisce in sostanza il giusto o l’ingiusto? Il professore e filosofo Umberto Galimberti in uno dei suoi innumerevoli podcast-interviste, affermava che il giusto o l’ingiusto non è altro che un sistema di regole che ci consente di capire quando uno parla e di non fraintenderlo, ma soprattutto di prevedere il suo comportamento. La ragione è quindi un sistema di regole, ma non è automaticamente da considerare quale verità. Questa breve riflessione peraltro incompleta, ci può anche fare pensare alla relazione fra la ragione e il giusto. (Sono nel giusto, quindi ho ragione). In un certo senso e con un po’ d’immaginazione, vediamo l’interdipendenza fra i due soggetti. Sommando ora il verbo (decidere) e l’aggettivo (giusto), possiamo renderci conto dell’importanza di qualsiasi decisione (come atto) che troncando con il passato, determina con le sue azioni il prossimo futuro.

Ma dove sta quindi la follia? Restando nei parametri di una codificazione (culturale, sociale) accettata dalla maggior parte delle persone, probabilmente la follia può essere minimizzata, ma con più la decisione è importante, con più il peso e quindi un rischio di deriva nel campo della follia è probabile. Follia però non è da intendere come un atto irresponsabile e negativo. A volte l’uscire dagli schemi, il percorrere strade inesplorate è la sola via che abbiamo per risolvere un problema.

Come essere pensante l’uomo però si è dotato con il tempo anche di strumenti (di pensiero, di analisi) per cercare, nel suo agire, una sempre più grande razionalità e oggettività. Per questo anche l’atto della giustificazione, rientra nelle competenze di colui che prende le decisioni. Anche se purtroppo dobbiamo concordare nel fatto che razionalità e oggettività sono possibili solo a livello teorico, possiamo comunque accettare che l’idea di poter raggiungere l’oggettività e razionalità, sia possibile.

Parliamo ora brevemente della giustificazione a fronte di una decisione. Cosa vuol dire dunque giustificare una decisione. Nuovamente il vocabolario on-line della Treccani, ci può aiutare a identificare il corpo e la sostanza dell’atto (di giustificare). Scelta cosciente e ragionata tra le varie possibilità, risolutezza determinazione nel decidere. Sono formato e allenato a dare sempre una giustificazione alle mie decisioni. Così in ambito militare, la giustificazione fa capo a elementi considerati fondamentali, frutto del processo decisionale. Una frase però, ha sollevato la mia attenzione: “un’ottima giustificazione non è di per sé sufficiente per la verità (ndr giustezza), “per caratterizzare la verità non bastano né la giustificazione ne l’asseribilità garantita”[2]. Significa che a volte restando nei parametri del già visto, dei concetti teorici, rischiamo di perdere il nesso con la realtà. Così ragionando nell’ottica dell’etica, troviamo due filiere per la giustificazione di una nostra azione. Abbiamo così un punto di vista deontologico e quello consequenziale[3]. Ai fini del nostro discorso, ritengo importanti così le seguenti parole:

“Una concezione deontologica ci dà un’immagine dell’etica come un sistema di doveri. Il comportamento corretto sarà appunto l’obbedienza a quei dover e le azioni saranno giustificate facendovi appello. In un approccio consequenzialista, invece, quello che conta sono le conseguenze dell’azione, in altri termini, il criterio per valutare se un’azione è giusta o sbagliata è quello di considerarne le conseguenze e la sua giustificazione è mostrare che una certa azione porterà alle conseguenze giuste”[4].

Una concezione deontologica ci dà un’immagine dell’etica come un sistema di doveri. Il comportamento corretto sarà appunto l’obbedienza a quei dover e le azioni saranno giustificate facendovi appello. In un approccio consequenzialista, invece, quello che conta sono le conseguenze dell’azione, in altri termini, il criterio per valutare se un’azione è giusta o sbagliata è quello di considerarne le conseguenze e la sua giustificazione è mostrare che una certa azione porterà alle conseguenze giuste

Blitris

Dobbiamo anche prendere atto che siamo formati su base epistemologica, “che è proprio quel settore della filosofia che si preoccupa di indagare le caratteristiche della nostra conoscenza e di determinare le condizioni in base alle quali è possibile affermare correttamente di conoscere o di sapere qualcosa”.[5] Ma ecco il punto: non sempre le decisioni prese in base al nostro sapere consolidato, alle nostre regole assodate, all’esperienza accumulata e sopportate da valide giustificazioni, sono le migliori (giuste). Nella logica della ragione, ci possiamo sbagliare. A volte l’aspetto consequenzialista, a prima vista fuori luogo e in chiaro contrasto con “l’ordine costituito” può rivelarsi la vera chiave di svolta.

Quello che però possiamo fare è dotarci di un sistema, o per meglio dire di un processo semplice[6], che ci consenta di spaziare fra le diverse dimensioni (concezione deontologica, consequenzionalista), salvaguardando una flessibilità di pensiero e di azione. Se nella normalità è necessario attenersi a norme, regolamenti, ci sono occasioni dove si impongono soluzioni non solo non conformi, ma anche che vanno contro ogni qualsiasi regola stabilita. Un buon leader difende le sue convinzioni più profonde anche se deve effettivamente supporre che sarà criticato per averlo fatto o rischiare la sua stessa carriera.

Questa breve riflessione su una domanda breve ed apparentemente semplice, ci ha portato a scoprire la potenza del verbo “decidere” e dell’aggettivo “giusto”. La comprensione di questi significati, ci ha fatto riflettere sulla difficoltà come pure sull’importanza dell’atto decisionale e del valutare la sua correttezza. Se esiste una follia è quella di avere il coraggio a volte di perseguire i propri ideali anche a costo di percorre strade mai intraprese da altri.

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[1] Sulla follia e il suo significato, ho già scritto diversi pensieri. Si veda: “La ragione, la follia e l’innovazione”, Weekly newslettter #46, getrevue.co (Stato 08.02.2021) e “Ancora sulla follia e sulla ragione”, Weekly newsletter #48 (Stato 08.02.2021).

[2] Blitris (Collective), a c. di, La filosofia del Dr. House, Saggi (Milano: Ponte alle grazie, 2007), 107.

[3] Blitris (Collective), 53.

[4] Blitris (Collective), 53–54.

[5] Blitris (Collective), 92.

[6] Qua faccio riferimento alle attività della condotta 5+2 dell’esercito Svizzero. Per approfondire si veda anche il mio articolo: “die 7 Schritte des Procuste-Dilemmas”, rappazzo.org (stato 08.02.2021).

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