Nella nostra ipotetica situazione di oggi, la nostra azienda ha comunicato, rispettivamente abolito diverse costrizioni quali le ore di presenza o il tetto massimo di vacanze. Innovativo! Bello! Ora, proviamo a (ri)pensare la nostra giornata lavorativa.
Due scenari: gli estremi
Prima tendenza: le ore di assenza aumentano, la qualità dei lavori diminuisce, il cliente ha fatica a raggiungere il proprio interlocutore di fiducia. Il lunedì e il venerdì si osserva una minore presenza nel posto di lavoro. Dal dialetto “via i gatt, balan i ratt”.
Seconda tendenza: le ore di lavoro aumentano, per la paura di non raggiungere i risultati. Si sviluppa una dinamica di (mala) concorrenza, dove che lavora di più, chi è più presente, viene automaticamente gratificato. Insomma una chiave moderna di schiavismo volontario.
Siamo sicuramente concordi nell’affermare che le due situazioni sono degli estremi e quindi, sono due vie da evitare. Lo spunto di questa riflessione è l’effettiva possibilità, che il fondatore e numero uno della Virgin Richard Branson, ha da poco dato ai suoi collaboratori, di fornire la propria prestazione professionale secondo i seguenti parametri:
i dipendenti si possono assentare un’ora, una settimana o un mese, senza che nessuno debba potergli fare domande, perché una persone felice lavora meglio
“Già perché una persona felice lavora meglio”. Fino a questo punto dovremmo essere tutti d’accordo. Così, si espresse anche recentemente il numero uno di Google, Larry Page dove
l’idea che tutti devono lavorare freneticamente non è vera
questo anche per permettere al collaboratore di avere più tempo per la propria famiglia, i propri hobby. Insomma più tempo per godersi la vita. Generoso!
Dalle parole ai fatti: abolire le regole
Così, sempre nelle parole di Branson, è la prestazione che conta e non la regolamentazione. Probabilmente, queste regole vigenti nella stragrande maggioranza delle aziende, non sono un semplice desiderio, ma conducono alla natura dell’uomo secondo una visione cara a Thomas Hobbes (vedi mio articolo, oppure leggi il pensiero politico di TH). Una versione quindi critica dell’uomo. L’uomo che ha bisogno di regole. L’uomo che deve essere condotto con la forza, se necessario.
Senza spada i patti non sono che parole
Parole forse dure, ma che rendono chiaro il messaggio di Hobbes. L’uomo deve essere controllato. Quindi, ancora una volta, dobbiamo chiederci se questo trend liberale potrà avere successo. Personalmente, penso di sì. Sono sempre disposto ad esplorare idee innovative e di controtendenza. Questa mia convinzione però è subordinata ad alcuni aspetti. Gli aspetti legati, ovviamente, alla condotta. La convinzione che un dipendente contento è uguale ad un dipendente motivato, già per altro discusso nel mio articolo “riconoscimento e prestazione” e in questo mio altro articolo “la vetta del successo professionale” è, e rimane la base di arrivo. Anzi meglio la base di partenza.
Probabilmente molti di voi non hanno mai sentito parlare di Gustave Le Bon. Le Bon con il suo libro “Psicologia delle folle“, analizzava le folle non come raggruppamento di individui, bensì piuttosto sotto l’aspetto delle dinamiche di gruppo. Se siete interessati alla lettura di cosa le masse sono capaci di fare, sicuramente vi interesserà anche il mio articolo dal titolo “Virus – nome in codice: uomo“. Ma torniamo al libro di Le Bon. Il libro è una pietra miliare della psicologia. Ma dove vogliamo arrivare parlando di Le Bon? È l’aggregazione di individui, il comportamento dei leader (naturali) e dei capi (imposti), che influenza ogni modello di impresa. Certamente non possiamo e non dobbiamo escludere altri fattori. Ci mancherebbe altro. Ma come vedremo fra breve, è la qualità della leadership sulle masse, sui collaboratori, su noi stessi, che influenza in modo determinante l’agire di qualsiasi raggruppamento di persone.
Il problema: la qualità della leadership
Ma il vero fattore di successo o insuccesso di questo modello è, e rimane uno solo: la forza dirigente. Il ruolo del capo, del leader, del manager. Il modello proposto, aumenta in modo esponenziale le esigenze che ogni responsabile deve poter – non solo conoscere e applicare – ma anche padroneggiare. Ci troviamo così nella più alta scala della tassonomia. Si tratta insomma di saper gestire ogni situazione adattandosi efficacemente ad ogni contesto, ma pur restando ancorati a standard di condotta ben precisi. Questa visione o realtà, potrà così avere successo solo se chi è al timone dell’azienda, sarà capace di assumersi per intero la propria responsabilità. Un ultimo aspetto, è quello della valutazione delle nuove competenze e modalità a seguito del modello proposto. Il tempo professionale che così un capo dovrà riservare alla formulazione degli obiettivi, alla valutazione del personale, al controllo in generale, ma anche alle possibili conseguenze, non può essere sottovalutato. Ne è un esempio l’UBS dove recentemente ha posto delle nuove restrizione per il lavoro Home-Office. Già l’assenteismo era aumentato. Così ritroviamo nell’assenteismo il pensiero di Hobbes sull’uomo e la mia già citata convinzione che il problema, innanzitutto, bisogna ricercarlo nella capacità della leadership.
Il modello: valido per tutti?
Se è vero che la verità sta nel mezzo, abbiamo così visto che le due tendenze estreme, discusse all’inizio dei questo articolo, sono solo la causa della qualità di coloro preposti a dirigere. Un’ultima e quantomai importante osservazione, è anche la convinzione che questo non sarà mai un modello applicabile a tutto e tutti. Infatti, nelle organizzazioni votate alla gestione delle crisi, sarebbe quanto mai pericoloso affidarsi al fato che, nel momento del bisogno, subito e senza discussioni, si può contare su un’immediata prestazione.
Il trend liberale che ha descritto nel post a mio giudizio non è vincente o fallimentare in assoluto, ma può essere vincente o fallimentare a seconda del contesto in cui viene applicato. In un’azienda che ha assunto in maniera oculata del personale responsabile, allentare il controllo sui dipendenti può generare soltanto effetti positivi; se invece il personale è lassista e lavativo, allora per quei dipendenti è più opportuno seguire le teorie di Hobbes. E’ d’accordo?
Più che d’accordo. Innanzitutto un grazie rinnovato per aver sbirciato dalle mie parti. Come ho descritto nel testo, non solo la qualità del personale, ma anche la tipologia dell’azienda sono fattori per determinare la riuscita o meno di questo modello. L’idea però mi piace. La riuscita di questo modello, dipende anche dal grado (molto alto) di integrazione del personale con gli scopi dell’azienda. Il pericolo, come in ogni eccesso, è quello di avere un grado di integrazione così alto, che ogni dipendente si sente in dovere, di dare sempre di più. Di primo acchito, niente di male, ma la concorrenza estrema, può portare anche a situazioni esplosive. Riassumendo, sono per una filosofia basata sulla fiducia e sul raggiungimento degli obiettivi. La parte più difficile, come già scritto nel post, è la capacità manageriale del controllo mirato e delle, a volte, necessarie conseguenze. Un grandissimo saluto e alla prossima.