Dammi un gruppo e ti formo un team … o almeno questa è la mia intenzione!

Lavorare insieme. La formazione di un team. La collaborazione. L’azione e la reazione. Cronaca e fatti di piccole cose che fanno grande un gruppo. Comunicare per crescere. La mia piccola esperienza.

Nella mia attività professionale, è consuetudine cambiare la propria funzione all’interno di una grande organizzazione quale è l’esercito svizzero a ritmi di 3-4 anni. Una constante che caratterizza questa rotazione, e indipendentemente dal livello di responsabilità – è quella di essere membro di un team, ma parallelamente si ha la responsabilità di un ben definito gruppo. Così appare ovvio che questi cambiamenti comportano un nuovo processo di aggregazione, e di integrazione (Foming, Storming, Norming, Performing). Va anche ricordato, come pure i cambiamenti che intercorrono durante l’attività professionale (e non), come la sostituzione di un membro (cambio di collaboratori), o semplicemente le diverse mansioni (nuove) professionali, coincidono quasi sempre con un riaggiustamento dei particolarismi di un team. Chiari processi e missioni,  condizioni di lavoro, quale l’ambiente e lo stile di condotta, possono facilmente (se costruttivi) facilitare la continuazione o il mantenimento della stabilità, semplificano e permettono una celere integrazione a fronte di cambiamenti siano essi repentini, siano essi programmati.

foto Rappazzo 2013
foto Rappazzo 2013

Un aspetto interessante della mia attuale funzione (Link: SLG I / Link: FLG II), e grazie ad una certa esperienza maturata in diversi ambiti della condotta (sia in ambito civile che militare), ho l’opportunità di insegnare in prima persona gli aspetti legati ai lavori di uno stato maggiore (di battaglione) – ma che può essere anche paragonato con il mondo professionale civile (direzione di una media impresa per esempio). Si tratta essenzialmente, per il tramite della pianificazione dell’impiego (Führung und Stabsorganisation der Armee pag 45) e della condotta dell’impiego (pag 48), fare in modo che le diverse funzioni presenti in una qualsiasi unità organizzativa, possano interagire con profitto, efficienza e efficacità con lo scopo ultimo di raggiungere gli obiettivi fissati.

In questi corsi della durata di due settimane, dove il carico di lavoro è dalle 0700 della mattina fino a dopo le 2230 la sera, la grande sfida è quella di trasmettere una conoscenza teorica dei lavori di stato maggiore, integrare diverse personalità, funzioni, ed esperienze in un gruppo e per il tramite di esercizi, dove la tattica è il mezzo per raggiungere l’obiettivo, formando un gruppo unito e possibilmente efficiente! Una sfida affascinante, una sfida che corso dopo corso, mi aiuta a crescere ulteriormente (Si, anche gli istruttori crescono!). In effetti i partecipanti, non sono degli automi (presente – capito!), ma portano caratteristiche ed aspettative sempre differenti. Per questo motivo ho la fortuna e la possibilità di approffitare anche di loro. La mia funzione è triplice; ho un ruolo di comandante, di istruttore e di coach. L’esperienza di condotta, la mia formazione, e la mia motivazione sono strumenti che posso mettere a disposizione dei partecipanti, nella speranza di poter trasmettere la giusta competenza e che permetta a loro di iniziare (o continuare) nel – difficile – cammino della responsabilità in presso ai propri corpi di truppa.

Obiettivo comune
Obiettivo comune

La formazione di team, gruppi eccetera è già abbastanza documentata e non è scopo di questo breve scritto riformulare o sviluppare qualsivoglia teoria. Non di meno però di seguito, vorrei evincere alcuni strumenti che mi accompagnano spesso con successo da diverso tempo in questa mia attività. Nella mia attività di formatore per aspiranti ufficiali, avevo già scritto alcune considerazioni (vedi: führen, motivieren, erziehen) sul mio stile di concepire la formazione. Sostanzialmente, agisco tendo conto di quanto scritto a suo tempo, anche se adattato chiaramente al nuovo livello di formazione. Comunque ecco alcuni punti metodologici che utilizzo per formare un nuovo team, nel breve tempo che ho a disposizione.

Portrait of Henry Ford (ca. 1919)

È mia consuetudine riprendere un pensiero di Henry Ford;

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo

Non sono tanto le capacità del singolo (anche se importanti) a fare la differenza, bensì la capacità di un gruppo di unirsi, di interagire e di collaborare con efficienza ed efficacia. In termini sportivi, potremmo citare anche le parole di Michael Jordan:

English: Picture of Michael Jordan at a basket...Il talento ti fa vincere una partita. L’intelligenza e il lavoro di squadra ti fanno vincere un campionato.

Comunque sia, più facile a dirsi che a farsi. Ma andiamo oltre. Ogni funzione all’interno di un team ha la sua importanza – evidente si potrebbe dire! Non c’è posto per nulla facenti o altro ancora. Come ufficiali di uno stato maggiore, ma come pure membro di una direzione, siamo a disposizione di colui chiamato a prendere delle decisioni. Il nostro contributo deve essere, da una parte critico, dall’altra coerente con gli intendimenti e le linee guida del capo. Per questo non c’è posto per attendisti; la filosofia è quindi agire invece di reagire.

Agire significa non attendere ordini (anche un soldato attendista o un impiegato non sono utili! – Spiacente dunque per tutti coloro che pensano che a certi livelli inferiori bisogna spegnere il proprio cervello), bensì analizzare, cercare sempre di essere un passo in avanti. Agire significa assumersi le proprie responsabilità, sapere sviluppare un senso (auto)critico. Agire inosmma, significa guardare in avanti e mettersi continuamente in discussione. Reagire per contro è una tendenza che limita l’efficacia del singolo e che costringe alla mediocrità qualsiasi team o gruppo, ma anche la singola persona.

Un’altro aspetto comune ad ogni team è l’ambiente di lavoro. Non importa se si parla di competitività, cioè dove la competizione è parte dell’ambiente, ma trattasi maggiormente di rispetto e di una cultura della critica positiva. Sono alcuni dei fattori chiave che stanno alla base delle dinamiche di un gruppo. La definizione dei processi è importante per raggiungere efficienza ed efficacia, mentre la collaborazione fra i diversi reparti è un ulteriore elemento di successo. La collaborazione fra questi ultimi in effetti, migliora le sinergie in diversi ambiti, quali processi, personale ecc, e migliora la comunicazione e la trasparenza.

Quanto citato, sono solo alcuni aspetti legati alla formazione di un team. Ben chiaro che le sole due settimane a disposizione sono relativamente brevi – innegabile è la difficoltà di raggiungere i quattro stadi della formazione – che non devono essere giocoforza sequenziali –  (forming – storming – norming – performing). L’obiettivo del corso comunque resta l’apprendimento delle tecniche del lavoro di stato maggiore. La tattica – come già precedentemente detto – è solo lo strumento (metodico) per facilitare la comprensione. Solo con l’ingresso nella propria formazione sarà quindi possibile mettere a frutto gli insegnamenti acquisiti durante il corso e solo lavorando insieme, si capirà se quest’ultimo è un gruppo che saprà rispondere alle alte esigenze tipiche di un’organizzazione che deve lavorare sotto pressione e gestire le più svariate crisi. Una bella sfida! Infine – e in punta di spillo – è altresì importante annotare, come l’economia Svizzera in generale, riconosca (nuovamente) la validità della formazione militare. Certo non è tutto, l’uomo in fin dei conti è il centro. La formazione alla condotta aiuta a migliorare e ad affinare le proprie competenze. Le competenze acquisite comunque devono essere oggetto di una continua istruzione. L’istruzione non termina ai corsi della scuola centrale di Lucerna bensì continua per sempre!

3 commenti su “Dammi un gruppo e ti formo un team … o almeno questa è la mia intenzione!”

  1. Del Suo post mi ha colpito in particolare il riferimento a coloro che, quando devono lavorare in gruppo, tendono a mettersi in un angolino e rimanere sostanzialmente improduttivi, nulla facenti. Ecco, la mia esperienza in questo senso é indicativa: infatti ogni singola volta che sono stato coinvolto in dei lavori di gruppo si é sempre creata una situazione incresciosa per cui lavoravano in pochi, e alla fine il merito se lo sono preso tutti. Questo perché il docente che aveva formato il team non ci seguiva durante la fase del lavoro di gruppo, si limitava a correggere il lavoro finito: di conseguenza, non aveva modo di capire chi si era impegnato e chi invece si era grattato la pancia per tutto il tempo. Proprio per questo ho maturato una forte avversione per i lavori di gruppo, ho sempre cercato di evitarli come la peste.
    Voglio però essere onesto fino in fondo: la mia ostilità ha anche un’ altra motivazione. Quando sto facendo qualcosa a cui tengo, voglio che tutto riesca per il meglio, che tutto vada come io ho progettato, e per riuscirci é fondamentale che io abbia sempre tutto sotto controllo. Quando lavori in gruppo questo puoi sognartelo: infatti, anche ponendo che tu riesca ad assumere una posizione di leader all’ interno del gruppo grazie alla tua personalità o ad altri fattori, comunque ogni membro del team avrà sempre un margine di autonomia, e l’ autonomia in mano alla persona sbagliata genera disastri.
    I problemi che ho esposto possono tuttavia essere arginati:
    – Per quanto riguarda il discorso dei nulla facenti che si prendono dei meriti che non hanno, se colui che ha assegnato il lavoro segue le varie fasi del suo sviluppo potrà capire senza difficoltà quali siano i reali meriti di ciascuno;
    – Per quanto riguarda i compagni di lavoro inefficienti, per limitare al minimo i danni che potrebbero causare basterà dare loro i compiti meno importanti. In questo modo, anche se loro li svolgeranno male, le conseguenze saranno minime.
    Ovviamente bisogna gestire la situazione con il dovuto tatto: l’ inefficiente non deve avere la sensazione di venire umiliato ed emarginato, non deve capire che é l’ ultima ruota del carro, non deve sapere che gli sono stati affidati dei compiti di importanza minimale; al contrario, deve essere gratificato, deve essere convinto di essere utile al gruppo quanto i suoi compagni più dotati. Infatti un compagno di lavoro denigrato tenderà ad accumulare rabbia e frustrazione, e questo potrà fare soltanto del male al gruppo.
    Cosa ne pensa dei problemi che ho descritto e delle contromisure che ho suggerito?

    1. Quando ero un giovane formatore, mi ricordo che era abitudine dare un carattere tipo ad ogni componente di un gruppo; l’intellettuale, l’estroverso, l’introverso, l’arrogante, il supponente, il timido, ecc. Già allora la sfida era quella di poter identificare il carattere per agire di conseguenza. Oggi si usano altre terminologie nella fattispecie dell’ABC della personalità (D-I-S-C: dominanza, influenza, stabilità, cautela). Conoscere le diverse personalità e saper adattare di conseguenza il proprio stile di condotta è un’azione fondamentale.
      Ma veniamo al dunque: i nulla facenti. Il ruolo del capo, le regole del gioco (qui intendo le diverse attività che deve svolgere –> missioni del profilo della funzione) e chiaramente la consocenza, dovrebbero evitare spiacevoli soprese. A livello di istruzione – come giustamente da lei rilevato – è importante identificare – seguire – consigliare – accompagnare. Ha anche ragione – secondo me – quando dice che nessuno deve essere umiliato ed emarginato (in questo caso dovremmo disutere sul ruolo del capo …). Nel contesto nel quale opero, comunque – ma penso anche a gruppi chiamati a gestire una crisi – c’è poco spazio per i “nulla facenti”, in quanto ogni singola persona ricopre una ben definita funzione. L’insieme delle funzioni (interazione nei processi di lavoro), porta poi all’esecuzione di una determinata attività. In determinati contesti organizzativi, l’apporto del gruppo è fondamentale, dove il solo singolo non può fare la differenza. Mentre una condotta esemplare (sempre del capo quindi), può fare la differenza. Mi è capitato di dover lavorare con un gruppo che non annoverava nessun fuoriclasse, ma la prestazione finale era di gran lunga migliore di gruppi ben più profilati (vale anche per lo sport).
      Il docente che non segue il gruppo e vuole solo il risultato finale, non esegue completamente le sue funzioni di formatore. Certamente il prodotto finale è importante, ma è anche importante (in funzione dello sviluppo), poter valutare anche la via che ha portato al risultato. Anche io ho la tendenza, una volta che ho una ben definita idea nella testa, a volerla imporre. Con gli anni però ho imparato anche ad ascoltare i miei collaboratori (per questo non voglio solo collaboratori pecore, bensì anche a volte con il giusto spirito critico). La mia idea così la do in “pasto” al gruppo e mi metto a confronto. Di regola le discussioni che seguono sono sempre positive e portano ancora ad un migliore risultato. Chiaro è però che una volta che la decisione è presa … pretendo che tutti si dedichino alla sua realizzazione. Purtroppo anche con tutte le metodiche e capacità a disposizione, non potremo mai evitare che qualche collaboratore si gratti la pancia! Ed ora parliamo della capacità dei collaboratori. Prendiamo il principio che come capo, lavoriamo con i collaboratori che abbiamo (ben inteso che ci sono limiti a questa filosofia). Cercheremo di impiegare ogni collaboratore focalizzandoci sulle sue forze (lo sport è ancora un buon esempio) e evitando di concentrarci troppo sulle debolezze. Valorizzare dunque. Se malgrado tutto questo non si dovesse riuscire, e dopo una concreta e transparente valutazione delle prestazioni (obiettivi annuali), dobbiamo valutare l’interruzione del “contratto di lavoro”. In conclusione, le contromisure proposte, sono valide e ben ragionate.
      Spero di aver risposto alle sue interessanti domande.

      1. E’ evidente che Lei ha riflettuto attentamente su ciò che ho scritto e che ha speso molto tempo per rispondermi, e questo lo apprezzo tantissimo.
        Sono d’ accordo con la Sua affermazione per cui lo scambio di idee può migliorare sensibilmente le persone che decidono di mettersi in discussione e di confrontarsi tra loro. In fondo, la mia stessa attività di commentatore ha esattamente questo scopo: condividere le mie idee con altri bloggers e sviluppare con loro delle riflessioni che possano risultare utili e piacevoli per entrambi.
        Sono d’ accordo anche quando Lei scrive che di ogni membro del team dobbiamo cercare di vedere il lato positivo: se ci concentriamo soltanto sui suoi difetti allora valorizzarlo sarà impossibile, perché per valorizzare una persona devi prima conoscerne e apprezzarne le qualità.
        Concentrarsi sui lati positivi di un lavoratore inefficiente e continuare a coinvolgerlo nel team nonostante le sue difficoltà non é affatto facile: infatti quando in un gruppo una persona si dimostra inetta allora gli altri membri del team istintivamente lo vedono come un pericolo, come una serpe in seno che potrebbe (anche senza farlo apposta) rovinare tutti i loro sforzi, e quindi la reazione istintiva é quella di emarginarlo.
        Accade anche nello sport, per riprendere il Suo esempio: infatti quando i membri di una squadra si accorgono di avere un compagno scarso, allora smettono di passargli la palla, lo emarginano, perché temono che facendo diversamente lui manderà tutto a rotoli. Non é cattiveria: semplicemente, pensano che emarginare un compagno sia un male minore rispetto al male supremo di perdere la partita.
        Come ha giustamente detto Lei, ragionare in questo modo viene spontaneo ma é sbagliato, perché si può vincere la partita anche senza prendere la decisione drastica di emarginare gli imbranati.
        La ringrazio ancora per la Sua esauriente risposta, e spero di leggere presto un Suo nuovo articolo.

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