Inno alla sicurezza

Lo spunto delle poche righe odierne, fanno seguito ad una piccola e inoffensiva riflessione di una caricatura pubblicata sulla Jungfrau Zeitung del 23.08.2013. Il disegno è opera di Sven.

Esercito e GSOA
http://www.jungfrauzeitung.ch/artikel/126568/
(Stato: 16.09.2013)

Ormai sono giorni, settimane se non mesi che – come ha detto un mio amico – l’esercito è un tema quotidiano. In pratica l’esercito è sotto i riflettori. Gli articoli pro e contra che riguardano l’obbligo di servire si susseguono. Chi è per, chi è contro. Favorevoli e contrari. Così nella giungla dell’informazione fra commenti seri e commenti a fini propagandistici, alla fine è il cittadino (e anche soldato) chiamato a votare. Il cittadino svizzero deve esprimersi. Il 22 di settembre si avvicina. È il momento dello scontro, il momento della verità. Non dobbiamo pronunciarci se l’esercito è efficiente o meno, non dobbiamo esprimerci su quali siano o non siano le missioni idonee. Niente di tutto questo. Al 22 di settembre, decideremo se il binomio cittadino-soldato sarà ancora valido. Dovremo decidere il valore che vogliamo dare alla nostra sicurezza, una sicurezza che è rappresentata in parte da una costrizione costituzionale, cioè l’obbligo di servire. È utopico pensare che il solo volontariato possa essere la cura di tutti i mali.

Non amo la guerra. Anzi la voglio evitare. Amo peró la sicurezza. Oggi una politica di sicurezza mirata e vicino ai cittadini, é la migliore risposta.
Chi solo parla di sicurezza é un amatore. Colui che la pratica é professionista.

Amo anche il benessere, il poter vivere libero e padrone, per quanto possibile, delle mie azioni. Amo potermi esprimere liberamente nel rispetto delle regole e delle norme. Amo la stabilità del mio paese, amo poter viaggiare e conoscere altre culture. Amo mettermi a confronto.

La sicurezza non è un dato acquisito, un dato perenne. La sicurezza deve essere curata. La sicurezza ha bisogno di nutrimento. Il suo nutrimento principale, sono le persone. Siamo noi che decidiamo quale valore dare alla sicurezza. Nel nostro paese, l’obbligo di servire (qualunque esso sia), è una costrizione questo è vero, ma è una costrizione che ha la sua storica funzione di proteggere un popolo in uno spazio relativamente ridotto. Dove l’obbligo del servire, ha quale solo scopo il garantire la sicurezza della propria popolazione. Paese che vai tradizioni che trovi!

7 commenti su “Inno alla sicurezza”

  1. Mi scuso se il mio commento Le sembrerà fuori tema rispetto all’ argomento da Lei trattato in questo post.
    Oggi ho finito di leggere un bellissimo romanzo western, “Rinnegata” di Lewis B. Patten. Parlava di un gruppo ristretto di militari che ad un certo punto rimane bloccato nel deserto e viene circondato dagli indiani.
    Alla guida di quest’ esercito ci sono due uomini molto diversi: da un lato il maggiore Thornburg, un uomo prudente, assennato e sempre pronto ad ascoltare i consigli altrui; dall’ altro il suo sottoposto, il capitano Nison, un uomo arrogante, egoista e interessato solo alla propria carriera.
    Finché comanda il maggiore Thornburg le cose filano relativamente lisce. Poi lui viene ucciso dagli indiani in una sparatoria, e a quel punto la situazione precipita: il capitano Nison assume il comando e, nella sua folle sete di gloria, ordina ai suoi uomini di effettuare alcune sortite una più spericolata dell’ altra. Ognuna di queste sortite si conclude con un bagno di sangue, ma Nison riesce sempre a salvarsi miracolosamente e a tornare indietro.
    Ad un certo punto uno dei soldati, esasperato dal comportamento dissennato di Nison, lo uccide. Il resto della trama non lo racconto, sarebbe troppo lungo.
    Questo romanzo mi ha fatto riflettere su quanto sia importante che il potere venga assegnato alle persone giuste (questo vale tanto nell’ esercito quanto nella vita), e sul fatto che gli uomini abbiano la tendenza a togliere il potere ad una persona quando essa si dimostra inadeguata al suo ruolo.
    In linea generale gli uomini accettano di essere comandati, ma al loro comandante non garantiranno mai una fedeltà incondizionata: se avranno la sensazione che lui non sappia il fatto suo, che stia agendo a loro danno invece che nel loro interesse, faranno di tutto per liberarsi di lui. In quel caso il leader inadeguato é stato fatto fuori nel modo più estremo, con l’ omicidio; adesso si agisce in modo meno netto, con manifestazioni, richieste di dimissioni eccetera, ma il principio é lo stesso. Cosa ne pensa delle mie riflessioni?

    1. La sua riflessione mi ha fatto ricordare due film. Il primo è ambientato durante la prima guerra mondiale e siamo sul fronte Italiano. Un generale cade da cavallo e un unico soldato lo aiuta a rimontare. Lo sguardo dei suoi commilitoni è allucinante. Il generale è odiato. Le condizioni nelle trincee sono disumane e il tempo è avverso. Il libro di Ungaretti, vita di un uomo, contiene delle piccole “fotografie” dove viene magistralmente descritto questo periodo. Ma ritorniamo alla trincea. Lungo i chilometri della trincea, esiste una feritoia dove è pericolosissimo esporsi, infatti il cecchino nemico è temutissimo, in quanto riesce nello spazio di alcuni centimetri far penetrare il colpo. Un giorno l’odiatissimo generale si presenta per visitare le trincee. Negli sguardi spenti, stanchi, provati e pieno di rancore dei soldati, il generale si lascia accompangare da posizione a posizione. Tutti sanno della feritoria della morte. Con ironia e tacita accetazione dei commilitoni, viene proposto al generale di dare uno sguardo dalla postazione, dalla feritoia. La tensione aumenta. I visi si fanno più tesi. Ma nulla succede. Proprio in quel momento, proprio quel giorno non succede nulla. Il cecchino non spara. Il titolo del film non me lo ricordo. Mentre il secondo film è il famoso “salvate il sodlato Ryan”. Sbarco in normandia, molto difficile, dove centinaia e centinaia di uomini vengono falciati dalle raffiche dei tedeschi. Così ad uno dei tanti capitani, gli viene affidata una missione speciale. Cercare il soldato Rayan. Quest’ultimo è uno dei tre fratelli (credo) che combattono sotto la bandiera degli Stati-Uniti. Purtroppo però è anche l’ultimo. Il presidente USA in persona ordina quindi di ritorovare il soldato e riportarlo a casa. La madre, la sua famiglia ha già dato abbastanza sangue in nome della libertà.
      Così il capitano e un gruppo di soldati vengono spediti all’interno del fronte. Devono combattere per una casua che è difficile da capire. La scena che meglio rappresenta il commento da lei sollevato è dopo una lunga ed interminabile azione, dove il dovere, la disciplina, la motivazione e il senso della missione vengono messe in discussione. Anzi viene messo in discussione anche il ruolo del capitano. Ma è anche quest’ultimo con il suo trascorso, con la sua personalità sincera a far sì che la missione continua e che porterà, si al “salvataggio” del soldato Rayan, ma anche alla morte di molti membri del gruppo di ricerca.

      A volte quindi è meglio avere come capo un a persona che sa interpretare i suoi subordinati, un capo che sa miscelare forza, coraggio, paura, empatia (e potrei continuare), che avere un capo brillante nella tattica, ma con una personalità infima e insana. Quindi anche se a volte un capo può essere inadeguato in diversi ambiti, ma se saprà essere un motivatore ed avere una personalità non contorta, probabilmente avrà più probabilità di successo. Mentre una capo arrogante e incurante dei propri uomini sarà votato sicuramente all’insuccesso (è una questione di tempo).

      In tempo di guerra, l’omicidio è sicuramente uno strumento, come ho voluto dimostrare con il primo film. In contesto di non guerra, come lo viviamo oggi, le dimissioni sono sicuramente uno strumento. Ma anche la promozione ad un’altra funzione, o il cambiamento di funzione sono un modo per aggirare l’ostacolo. Oggi – e questa è una mia opinione – abbiamo dei manager che pensano (la maggior parte) solo ai profitti a corto termine. Ma forse è anche il significato della parola manager vs. la parola imprenditore a fare la differenza; il primo è votato unicamente al profitto (manager), mentre il secondo ha una propensione a far crescere (l’azienda e il personale).

      Per concludere, ogni assunzione di responsabilità è un atto di – e mi scuso per il gioco di parole – di responsabilità. La responsabilità di chi da il potere e una responsabilità per chi accetta l’incarico.

      1. Prendendo le mosse dalla Sua replica, vorrei sviluppare un’ ulteriore riflessione. Come abbiamo sottolineato entrambi, oggi, quando si vuole destituire un capo, si tende ad evitare le soluzioni drastico, come l’ omicidio, in favore di altre più “sfumate”, come le dimissioni, il cambio di funzione eccetera.
        Ecco, nella società odierna io questa tendenza ad preferire lo “sfumato” rispetto al drastico lo riscontro non solo nelle azioni, ma anche nelle parole.
        Di questo me ne sono accorto l’ anno scorso, quando ho frequentato un corso di Storia Medievale. Il professore che lo teneva confrontava il linguaggio dei documenti politici medievali con quello odierno, e ci faceva notare che rispetto ad allora oggi si tende a sfumare tutto, ad evitare espressioni forti, ad usare molti eufemismi, a cercare di essere politicamente corretti anche quando si potrebbe tranquillamente dire pane al pane e vino al vino. Invece di dire brutto, diciamo quasi bello. Invece di dire vecchio, diciamo non più giovane. Invece di dire orrendo, diciamo non riuscito.
        Tendiamo sempre a morderci la lingua, a reprimerci nel nostro modo di parlare e di scrivere anche quando non ce ne sarebbe assolutamente bisogno. Proprio perché é così raro trovare una persona che parli senza peli sulla lingua, quando in tv qualcuno comincia a farlo subito diventa un personaggio: pensiamo a Sgarbi, alla Maionchi, ad Aldo Busi eccetera.
        il nostro vocabolario si sta paurosamente restringendo, perché stiamo eliminando tutte le parole “nette”, in favore di quelle più “sfumate.” Al giorno d’ oggi le cose non vengono più chiamate con il loro nome, ma con il loro eufemismo. Lei si era accorto di tutto questo?

        1. “Politically-correct”. Probabilmente è questo il sunto. Questa tendenza è presente nella scuola, nella politica, nel relazionarsi fra diversi gruppi e la diplomazia, forse è l’espressione più evidente di questo modo di agire. Come in ogni cosa ci sono sia aspetti positivi sia aspetti negativi. Per diversi anni ho seguito (rapacemente) una serie televisiva dal titolo “Dr. House”. Eccezionale. Il dottore a capo di un team era solito ad essere diretto e (forse di primo acchito) non curante dei suoi collaboratori. “Ditemi qualche cosa che non conosco – e non fate perdermi tempo con cose che già so …”. C’è anche un libro: House and philosophy – everybody lies, edito da Henry Jacob per la John Wiley & Son Inc. A volte ho provato a utilizzare parte dello stile di condotta di House con il mio stato maggiore di battaglione. Un buon successo. Le persone o i collaboratori – vogliono essere condotte. Il rispetto, il giudizio severo non ha niente a che fare con il primo. Rispettare significa anche – a volte – riprendere severamente comportamenti o attitudini non confacenti alla missione. “Tadel und Loeb” (riprensione e lode) devono poter coesistere. Ma non è facile. Un esempio. Quando – nel mio contesto professionale – sono chiamato a valutare (quindi nel mio caso ogni giorno di insegnamento) una prestazione, si procede nel seguente modo:
          Forma – Contenuto – Nota – e punti per il miglioramento. Nei passaggi Forma e Contenuto, vengono dapprima citati alcuni punti positivi, per poi passare ai punti che bisogna necessariamente migliorare. Non tutti sono agli inizi di questo processo però contenti – ci può scappare anche la lacrima. Infatti la nostra società predilige il soft. Dire ad una persona che il punto xy era negativo può essere duro. Ma se si vuole crescere è importante dare una valutazione chiara; questo comporta sia il positivo, sia il negativo, ma sopratutto bisogna anche dare una via possibile da seguire per potersi migliorare.
          In altri contesti però il politically-correct è più idoneo. Questo comportamento può evitare screzi o situazioni delicate, e forse aiuta di più lo sviluppo del rispetto. Lei cita anche la politica nelle diverse trasmissioni televisive. Bene. Io non sono contro al parlare chiaro e in modo diretto. Esistono però delle “norme” che dovrebbero essere rispettate, ossia che si discute principalmente su una causa e non su una persona. Gli attacci personali, il scadimento in discorsi pieni di insulti e di falsità non dovrebbero trovare spazie nell’arena politica. Anche qua il rispetto è la base di ogni discorso. Se questo rispetto è presente, si può anche essere schietti e diretti. Quello che probabilmente manca è il senso dell’autocritica. Saper criticare è facile, essere criticato è più difficile. Anche per me!

      2. Sono d’ accordo sul fatto che il linguaggio politicamente corretto sia indispensabile per evitare screzi. Credo che a renderlo indispensabile sia l’ eccesso di permalosità presente oggi in molte persone.
        Di questa esagerata suscettibilità me ne sono accorto sempre all’ interno della mia (quasi conclusa) esperienza universitaria. Quando dialogavo con un mio professore mi sembrava di camminare sul filo del rasoio: avevo quasi sempre la netta sensazione che il docente avesse la tendenza a trovare delle allusioni negative o addirittura delle accuse in qualsiasi cosa dicessi.
        Ad esempio, una volta un mio professore scelse di tenere il corso su un determinato autore: di quell’ autore alcune opere dovevamo studiarle per l’ esame, ed altre no. Io non avevo ben capito quali fossero le opere escluse dal programma d’ esame, e quindi andai a chiederglielo.
        Lui vide questa mia richiesta come un’ accusa: disse che io implicitamente lo stavo accusando di non aver spiegato in modo chiaro cosa dovevamo studiare per l’ esame. Questo ovviamente non mi era passato nemmeno per l’ anticamera del cervello: semplicemente, lui non l’ aveva mai detto in modo chiaro, e quindi chiederglielo mi sembrava una mossa totalmente innocua. Cosa ne pensa di questa mia esperienza? Sono stato io ingenuo, é stato lui troppo malizioso o tutte e due le cose?

        1. A volte il problema è semplice …., colui che emette non è in sintonia con colui che riceve, e viceversa. Probabilmente un semplice “Sig. Professore, recentemente ha spiegato a noi allievi alcune opere da prendere assolutamente in considerazione per la preparazione degli esami … Purtroppo ho perso le mie notizie e me ne rammarico. Potrebbe per cortesia ancora ripetere gli sforzi principali, affinché mi possa preparare per il meglio” …. circa così ….
          L’esperienza dice che non è sempre una questione di sfiducia o fiducia, ma semplicemente è il modo di comunicare che il più delle volte non è in sintonia (emettitore vs. ricevitore). Spero di esserle stato d’aiuto.

      3. Moltissimo, come sempre. Forse é un caso, ma quel professore mi ha dato il voto più basso del mio libretto. Comunque mi dette 28, quindi non é che abbia fatto chissà quali danni. A presto, e grazie per l’ utile e piacevole scambio di opinioni!

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