L’attuale crisi ci dà l’occasione per rinegoziare qualcosa di noi, sia come individui sia come società. Il COVID-19 è sicuramente, a parte il dolore per chi non c’è più, una opportunità per l’intera umanità che ha colpito e continua ad affliggere il globo intero, dove nessuna Nazione e nessun popolo potrà o dovrà sentirsi escluso. Il passaggio repentino che abbiamo vissuto da una situazione di pianificazione in cui eravamo nel gennaio scorso a quello del Coronavirus, ha comportato, comporta e comporterà un cambiamento nei nostri comportamenti e nelle nostre abitudini. Il mondo è stato quasi catapultato in una nuova “Era” in cui certamente l’Intelligenza Artificiale sarà sempre maggiormente la protagonista principale e la leadership farà la differenza. L’attenzione verso l’ambiente, la mobilità (smart) e l’impulso tecnologico saranno certamente i pilastri del cambiamento.
Dobbiamo prendere atto, che come persone oppure come società amiamo la routine, amiamo poterci basare su punti fermi, su sicurezze. Qua e là queste sicurezze, questi punti fermi improvvisamente vengono a mancare. Vuoi per una crisi sanitaria, vuoi per una guerra, oppure una qualsiasi forma di minaccia che mette in crisi il sistema e la nostra amata quotidianità.
Se ci pensiamo bene, le crisi ci sono sempre state, lo sono e saranno sempre inevitabili, qualunque cosa noi facciamo. Le crisi irromperanno nella nostra società, mettendoci alle strette, obbligandoci alla reazione, obbligandoci ad uscire dalla nostra area di comfort. Per alcuni significherà la fine, per altri una rinascita. Oltre il lato tragico, le maggiori crisi che hanno colpito qualsiasi società hanno avuto il pregio di dare nuovi impulsi a situazioni stagnanti e circondate da un fragile e a volte inconsistente limes di sicurezza.
Prendiamo ad esempio la Guerra nella sua accezione generale. Innanzitutto, dobbiamo considerare che la guerra era almeno fino agli inizi del XX secolo una situazione irreversibile. La guerra era considerata come un male necessario, mentre la pace era solo il preludio per un nuovo conflitto. Nel trascorrere del XX secolo e durante la Guerra Fredda, come società siamo riusciti – almeno per la maggior parte del mondo – a sradicare questo pensiero trasformando la pace in una norma, mentre la guerra in un’eccezione, cioè ad uno stato di situazione che non è più naturale. Questa lenta trasformazione ha accompagnato l’umanità per secoli, dove ad ogni guerra sono susseguite innovazioni tecnologiche, e mutamenti socio-politici. Ai nostri giorni la democrazia, la costituzionalità, i diversi diritti acquisiti, sono punti fermi e di riferimento. Sappiamo però bene che il processo è stato lungo e cosparso di orridi comportamenti umani.
La tecnologia, oltre a dare un impulso nel campo bellico, ha anche sconvolto le società prima rurale, poi industriale e oggi tecnologica. Queste rivoluzioni o evoluzioni, hanno prodotto sconvolgimenti nella vita del singolo, della società in generale, producendo cambiamenti radicali nel concepimento del lavoro, spostando milioni di persone dalla campagna alle città, spostando dal settore primario al secondario fino al terziario. Cancellando per sempre professioni, ma allo stesso tempo partorendone di nuove. Nel campo della ricerca sanitaria, i progressi e la conoscenza, hanno permesso di allungare e migliorare la condizione di vita. Grazie a queste conoscenze nei diversi ambiti, sono avvenuti cambiamenti epocali che hanno scardinato gli ordini antecedenti.
È grazie quindi a questi avvenimenti, a questi sconvolgimenti che la nostra società è progredita. Realtà, niente di più. La lista non è sicuramente esaustiva. Ma la breve sintesi esposta, ci dovrebbe far capire quanto la parola crisi, possa incidere sulla nostra agognata quotidianità e tranquillità. Nelle parole di Albert Einstein troviamo una cruda realtà:
Wir können nicht davon ausgehen, dass sich Dinge verändern, wenn wir immer dasselbe tun. Eine Krise ist der größte Segen, der einer Person oder einem Land passieren kann, denn sie bringt immer Fortschritt. Die Kreativität entsteht aus der Panik, genau so wie der Tag auf die Dunkelheit der Nacht folgt. Krisen gebären Innovationen, Erfindungsgeist und große Strategien. Wer eine Krise übersteht, überwindet sich selbst, ohne bezwungen zu werden. Wer mit der Krise seine eigene Niederlage erklärt, vergewaltigt sein schöpferisches Potenzial und sucht mehr nach den Problemen, anstatt nach Lösungen. Die eigentliche Krise ist nämlich die Inkompetenz. Die Schwierigkeit für betroffene Personen oder Länder liegt darin, den richtigen Ausweg zu finden. Ohne Krise gibt es keine Herausforderung und ohne Herausforderung bleibt das Leben im Alltag und in Eintönigkeit stecken. Ohne Krise gibt es keine Verdienste, denn gerade in schwierigen Zeiten kommen die Stärken eines jeden zum Vorschein. Von der Krise zu reden, bedeutet sie zu fördern, über sie zu schweigen jedoch, bedeutet der allgemeinen Einschätzung Nahrung zu geben. Besser ist es, hart zu arbeiten. Hören wir also auf mit der einzig wirklich bedrohlichen Krise, die sich in der Tragödie äußert, nicht dafür kämpfen zu wollen, sie zu überwinden.
Tornando al gennaio 2020, molti di noi (probabilmente praticamente tutti), avevamo pianificato l’anno appena iniziato. Mese per mese. Ad un certo punto, abbiamo iniziato a leggere o a sentire il nome COVID-19, che probabilmente agli inizi ci sembrava distante ed astratto. Poi improvvisamente in un susseguirsi di comunicati e misure irrompeva nella nostra quotidianità. Una crisi concreta. Di colpo intere categorie di persone, di società e di stati si trovavano confrontati con un’emergenza che ben presto avrebbe messo a dura prova la nostra percezione di sicurezza, espellendoci a nostro malgrado dalla nostra area di comfort. Il COVID-19 non è una guerra e personalmente trovo molto esagerato coloro che paragonano l’epidemia con una guerra, in quanto di tratta di un’emergenza sanitaria.
Probabilmente solo un secolo addietro, questa pandemia avrebbe avuto esiti ancora più letali. A quel tempo la conoscenza scientifica non aveva le competenze odierne e le persone a torto o a ragione si rifugiavano nel conforto della religione. Agli inizi del XXI secolo, grazie alla scienza si è potuto identificare la reale portata della minaccia in tempi relativamente brevi. Anche la religione avversa alla scienza nei tempi addietro, riponeva fiducia nei riscontri medico-sanitari. Da un lato quindi la tecnologia e la capacità di comunicazione in un mondo sempre più globale in un problema globale ci ha aiutato a prendere delle contromisure anche se non ancora univoche, ma pur sempre in concerto, dall’altro la comunicazione attiva ha permesso di ridurre l’impatto del contagio. Quello che però il COVID-19 ha scatenato è un rallentamento da una parte della società frenetica, dall’altra ad uno sconvolgimento del mondo del lavoro e ora un ripensamento sul metodo di lavoro. Non da ultimo questa crisi ha risvegliato una sensibilità su diversi temi, quali l’impatto ambientale, la mobilità e il ruolo dirompente della tecnologia.
A livello umano e come persona sono triste per le dipartite premature di ogni persona che a causa del virus è venuta a mancare ai suoi cari, dall’altra parte in questa crisi si possono intravedere delle opportunità per tracciare nuove strade per una società globale che sarà testimone del prossimo futuro, dove questo futuro non deve per forza essere negativo. Un proverbio africano recita perfettamente l’importanza di una migliore collaborazione a livello globale; “se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme.”
Nel campo delle relazioni fra stati vedo il bisogno di una migliore comunicazione e collaborazione. Dovrebbe essere chiaro che un’epidemia non può essere fermata alle frontiere. Anche in epoche dove la mobilità e gli spostamenti erano arcaici, l’epidemia non conosceva frontiere e anche se lentamente sapeva cancellare dalla faccia della terra importanti fette di popolazione. Amare il proprio stato, essere cioè un nazionalista non deve per forza di cose sfociare nell’essere antiglobalista. E questo nelle parole del prof Yuval Noah Harari, significa il buon nazionalista ha a cuore il suo popolo, ma per fare questo deve collaborare con gli altri.
Mobilità, ecologia e urbanistica. Tre parole per un tema. È evidente e sotto gli occhi di tutti che l’aumento della popolazione causa e causerà una serie sfide nello sviluppo. La mobilità dovrà essere ripensata, il collasso ecologico è sempre alle porte e le nostre città devono essere urgentemente ripensate. Lo sviluppo, di energie alternative a favore di questi temi potrebbe dare un nuovo impulso ad un sostanziale miglioramento. Per fare questo però abbiamo bisogno di leader innovativi e intraprendenti. A volte ho l’impressione che si filosofi troppo difettando di concretezza.
Ritornando al COVID-19 e al modo di concepire il lavoro, questa situazione dovrebbe farci riflettere sui nostri metodi di lavoro, ripensando ai modelli attuali e lasciando posto ad una migliore flessibilità. Ci troviamo nel cosiddetto mondo VUCA (volatility – uncertain – complexity – ambiguity) Un elemento fondamentale sta nel ripensare i modelli di leadership attuale, dove oggi sono richieste competenze VOPA+ (Vernetzung Offenheit Agilität Partizipation und Vertrauen)[1].
Ma tutte queste sfide, so che ce ne sono altre, hanno e avranno o un denominatore comune: la tecnologia dirompente che volente o nolente, sarà una nostra compagna di viaggio. L’intelligenza artificiale, la VR, e i big Data entreranno gioco forza nella nostra quotidianità, dando un ulteriore accelerazione al cambiamento.
Sta a noi cogliere per tempo i segni del cambiamento. Il futuro non è ancora scritto. Il futuro siamo noi, e saremo a scrivere le pagine della nostra storia. A noi quindi la responsabilità di cogliere le opportunità di questo sviluppo a scapito di neri scenari. Walt Disney disse: “È quasi divertente fare l’impossibile”. Si, sono un ottimista consapevole che il futuro è nelle nostre fragili mani.
[1] Modell (Petry 2014, basierend auf Buchse 2014)