L’equilibrio nella condotta

In ambito militare, i quadri superiori devono essere degli accademici. La condotta non è una disciplina universitaria. Il management non è la condotta. Anche l’artigiano o il semplice operaio o impiegato può essere un ottimo condottiero. Un minimo di istruzione è comunque necessaria.

Nell’ambito della mia attività professionale presso la scuola “istruzione superiore dei quadri dell’esercito” non è rado partecipare a conferenze varie, dove relatori qualificati (o presunti tali) espongono diversi temi anche (e sopratutto) alla presenza dei quadri della milizia del nostro esercito. Durante una di queste conferenze un alto ufficiale dell’esercito, rivolgendosi alla platea principalmente composta di partecipanti della scuola centrale, affermava la necessità per l’esercito di dover avere dei quadri molto istruiti (accademici). Questa affermazione, ha sollevato immediatamente e dopo la conferenza diversi malumori. Infatti l’affermazione dell’alto ufficiale ha generato una nube di perplessità. Come molti altri, il mio percorso educativo non è passato tramite uno studio accademico, bensì per altre vie professionali e con cicli di studi differenti dalla classica via delle élite. Ma tralasciando i commenti concernenti questa affermazione del nostro protagonista che sicuramente era conscio della composizione dell’auditorio, ci vogliamo concentrare unicamente sul nocciolo della disputa innescata. I quadri superiori dell’esercito, devono essere accademici?

Equilibrio_condottaIl disegno riassume succintamente il mio pensiero. Ritengo completamente errato l’assunto secondo la quale l’esercito deve essere condotto principalmente da soli accademici. Sono però anche contrario all’opposto. Come sempre la verità, o la situazione ideale è nel centro. Ma questo centro è dinamico ed è determinato anche dalla situazione nella quale è chiamato ad operare l’esercito. Il mio è un centro differenziato e dinamico, un centro che è anche la base nell’interpretare e nel vivere in prima persona la condotta.

Così è utile in una prima parte identificare la differenza fra l’accademico e il non accademico. Successivamente si tratterà di dare seguito al mio assunto secondo il quale la condotta non è materia di titolo accademico, per poi in una terza parte, identificare la tipologia della condotta riassunta in tre categorie; la condotta in tempo di pace, in tempo di crisi e in tempo di guerra.

Ma chi è l’accademico? Nel nostro immaginario, probabilmente, l’accademico è quella persona che ha trascorso una buona parte della prima vita da adulto dietro i banchi di scuola e fra una montagna di libri e una quantità incredibile di documenti. Quindi una persona istruita e colta (comunque istruito non vuole dire intelligente). Una persona dalle conoscenze elevate. In questo ambito possiamo trovare le élite del paese (si dice). Coloro che saranno chiamati a condurre il paese. In questi ambienti troviamo gli uomini di successo. Coloro che saranno ai timoni delle grandi aziende. Ma un momento … e gli altri, coloro che hanno scelto un altro percorso professionale? Nonostante il mio più completo rispetto per la categoria degli eruditi, sono in dovere di esprimere alcuni dubbi. Il dubbio più grande è quello secondo il quale solo una persona con un curriculum accademico possa essere idoneo come timoniere. Il secondo dubbio è quello di dare per scontato che queste persone sono o saranno le élite del paese. Il nostro paese fortunatamente ha avuto (e spero avrà) ancora consiglieri federali senza un titolo accademico. La nostra economia ha avuto, ha e avrà anche in futuro timonieri che provengono non dalle aule universitarie, ma dalla gavetta.

Già la gavetta. Negli anni ’80-’90 dello scorso secolo era ancora la norma. Direttori di banca, politici eccetera. Ma ora la situazione è cambiata. L’istruzione di base ha altre esigenze. Oggi una persona, per accedere ad una buona posizione, necessita come al minimo di una buona maturità professionale (questo non vale però per i figli nati con la camicia. Per loro ci sono altre regole…). È un dato condiviso da tutti. Oggi è normale. Questo tipo di percorso professionale però non è da sottovalutare. Il percorso è certamente meno accademico, ma con il tempo, l’impegno e la necessaria perseveranza può portare la persona a ricoprire elevati ed importanti cariche di responsabilità. Ma non è questo il punto. Condurre è un altro livello delle capacità umane.

Non tutti gli accademici, pur intelligenti e brillanti possono dirsi anche dei buoni conduttori di uomini. Non tutti sono tagliati per condurre!

Le nostre università offrono corsi di master, di dottorato nelle più variegate e variopinte materie. Fino ad ora però non ho trovato nessun corso che offra un titolo accademico per la condotta. Nota bene il management non è uguale a condurre! La condotta del personale di uomini, cioè quella parte che esula dalle pratiche amministrative, è la parte – mi scuso la ripetizione – più difficile. Come mai non esiste un curriculum universitario, accademico o professionale che abilità una persona ad avere un certificato specificatamente in condotta. Anche a livello militare, l’ufficiale professionista consegue un diploma dal titolo “ufficiale professionista”. La condotta è una di quelle attività che, dopo una breve ma necessaria infarinatura teorica, deve essere vissuta sul campo. Vissuta per diversi anni, tradotto assimilare l’esperienza. L’arte di condurre gli uomini. Certamente in molte persone è innata, in altre è necessario qualche aggiustamento. Un gruppo di persone, lavoratori oppure ingegneri, necessitano sempre una persona che li coordina. Che li guida. Anche un buon manager con doti di condotta può essere a capo di un gruppo di ingegneri folli e dotati. Il gruppo (branco) ha bisogno sempre di una persona che li sappia condurre. Da questo assunto non ci possiamo sottrarre.

Dopo questa breve diversione sull’accademico e il non accademico, dobbiamo ancora  prendere in considerazione tre forme di tipologia di un capo; il capo nella situazione normale, nella situazione di crisi e nella situazione di conflitto (guerra). Innanzitutto ogni uomo è più propenso per una o per l’altra tipologia. Niente esclude che la persona possa ricoprire le tre “funzioni”, deve solo rendersene conto (e qui è il problema). In tempo di pace i generali di guerra sono molto meno idonei a condurre che in tempo di guerra. In tempo di pace è necessario un tipo di condotta più “rilassata” e sociale. In tempo di crisi, sono necessarie persone che sappiano prendere delle decisioni a breve termine e sotto una pressione del tempo. Infine in tempo di guerra, è necessario poter disporre di uomini dotati di carattere e potere decisionale che in tempo di pace sarebbero poco accettabili. Ecco che così a questo punto il mio concetto di “centro differenziato e dinamico” trova la sua risposta. A seconda della situazione, del contesto necessitiamo di una tipologia di capi. In punta di spillo però vorrei annotare che condurre una compagnia, un battaglione, persino una brigata di truppe combattenti, della logistica o di truppe non necessariamente considerate tecniche, è principalmente richiesto una dote: la dote del saper condurre. L’essere accademico o non accademico è di seconda importanza. Essere a capo di un esercito, di una scuola militare è importante, oltre a saper condurre, anche l’aspetto accademico. Questa ultima considerazione però, trova la sua valenza dal fatto che ora siamo in tempo di relativa calma.

________________________________________

Articoli tematici sulla condotta:

  • I capi e le cicogne, 13.04.2009 (link)
  • L’arte del comando, 10.10.2006 (link)

Articolo di approfondimento sulla gerarchia:

  • How Google Sold Its Engineers on Management, dicembre 2013 (link)

3 commenti su “L’equilibrio nella condotta”

  1. Sono completamente d’ accordo con la Sua tesi per cui una buona istruzione non garantisce un buon rendimento nel lavoro.
    Questa affermazione é valida perché purtroppo molti degli insegnamenti che la scuola insegna sono assolutamente inutili nel mondo del lavoro.
    Ad esempio, poniamo che, a studi conclusi, ti siano rimasti in testa tutta la grammatica greca e latina, oppure la trama di tutte le opere di Shakespeare: ebbene, queste nozioni quand’ eri dietro a un banco ti fruttavano dei gran bei voti, ma nel mondo del lavoro non ti servono a granché, perché a nessuno interessa il genitivo assoluto, e nessuno ti chiederà mai il monologo dell’ Amleto ad un colloquio di lavoro.
    Lo studio dovrebbe prepararti al lavoro, e invece la scuola é spesso un microcosmo completamente autoreferenziale, del tutto chiuso in se stesso, dove impari tante cose magari interessanti, ma che sono utili solo in quel contesto.
    Ha ragione anche quando scrive che una laurea non é una prova di intelligenza. Ci sono molte persone che hanno fatto un ottimo percorso scolastico e possono quindi vantare dei curricula paranormali, ma nella vita vera, al di fuori dei banchi di scuola sono così inetti e ottusi che non sanno cavarsela nemmeno nelle cose più banali, come prepararsi un pasto da soli.
    Mi trova d’ accordo anche quando scrive che la formazione scolastica di una persona é del tutto indipendente dalla capacità di condurre un gruppo. Per quello ci vogliono delle doti naturali di carisma, l’ intelligenza di saper captare il pensiero degli interlocutori e di penetrarne la psicologia, la capacità di sintonizzarsi sulla sua stessa lunghezza d’ onda… tutto questo può avercelo un perfetto ignorante e può mancare ad un super laureato.
    Recentemente ho visto un film, “L’ arte di vincere”, che trattava anche di questi temi. E’ la storia di un baseball manager che tenta di costruire una squadra vincente: il suo metodo si basa in parte su aridi dati matematici, in parte sul giusto modo di trattare le persone e i suoi sottoposti in particolare. Se non l’ ha visto glielo consiglio: é apprezzabile non solo per gli spunti di riflessione che offre, ma anche perché esalta il valore della famiglia, e in questo periodo storico c’é più che mai bisogno di sottolineare questo punto.

    1. Ho appena terminato la lettura della trama del film. L’arte di vincere (Moneyball) è un buon consiglio e, quindi, non mancherò di guardarlo. Grazie per il consiglio. Interessanti sono anche le osservazioni nell’ambito dell’istruzione. Mi trova d’accordo. Nell’era globale, informatica è utile perlomeno domandarsi quali siano i curriculum scolastici che permettano ai futuri cittadini di inserirsi con successo nel mondo del lavoro. Ho una moglie insegnante (scuola elementare), che vive quotidianamente questi e altri squilibri … per esempio la fobia dell’insegnamento delle lingue; tedesco (lingua madre), seconda lingua nazionale o inglese, terza lingua nazionale … Io per contro ritengo che prima di tutto è la lingua madre che deve essere insegnata correttamente. Poi una seconda lingua nazionale (in Svizzera ne abbiamo quattro) continuando poi con … eventualmente l’Inglese (o il cinese? il russo?). Ma quale lingua deve essere insegnata è oggetto sicuramente di altre riflessioni.

      1. Il problema della lingua straniera é sentito anche qui. Per molti é già uno scoglio assimilare le nozioni di grammatica dell’ italiano, figuriamoci quelle di una o più lingue straniere… o addirittura quelle di una o più lingue antiche!
        Io ritengo che questa situazione non durerà a lungo. Il problema della disoccupazione giovanile presto o tardi porterà ad un ripensamento dei programmi scolastici, imporrà alla scuola un adattamento alle esigenze del mondo del lavoro. Questo scollamento totale tra scuola e lavoro non potrà durare in eterno. La ringrazio per la risposta, e Le auguro buone feste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto