Politica di sicurezza, tanti enunciati e deduzioni, ma poche concrete conseguenze (1/2)

Il problema della riflessione che segue, non dovrebbe essere un problema. Il problema è l’atteggiamento della classe politica, e della società in generale (classe politica, dirigenziale, popolazione), rispetto al problema.

Ho scelto di iniziare questa riflessione, parafrasando un estratto tratto dal film de “i Pirati dei Caraibi” che si riassume nel seguente concetto:

 il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema

Il protagonista della nostra riflessione è l’Esercito Svizzero e la Politica di Sicurezza della Confederazione. Oppure per meglio dire, è la falsa convinzione che la Politica di Sicurezza è l’Esercito. Non sarebbe neanche male in seguito dissipare la fastidiosa tendenza – alla moda da ormai parecchio tempo – di concepire, gestire, discutere, analizzare un problema solo e unicamente – o quasi – sotto un profilo prettamente e marcatamente economico. Si tratterà anche di definire, in modo definitivo, – almeno ci proveremo – quali criteri sono necessari per definire concretamente, i criteri dei vari elementi che costituiscono la nostra Politica di Sicurezza. Questo testo è anche un successivo contributo al dibattito sulla nostra politica di sicurezza che fa seguito all’articolo Pensieri sulla Politica di Sicurezza Svizzera che ho reso pubblico nel mese di marzo di quest’anno.

Ma quale è il problema? Quando si dibatte sulla Politica si Sicurezza, si parla troppo di Esercito, laddove, il problema principale è quello di definire una giusta e bilanciata Politica di Sicurezza e non della necessità di disporre di un Esercito. Politica di Sicurezza che non è sinonimo morboso di Esercito. Solo dopo una chiara definizione di cosa vogliamo, e quali sono i mezzi di cui lo stato dispone, è possibile  dilettarci nella disquisizione sulle possibili prestazioni e nell’organizzazione dell’Esercito. Vado oltre. La Politica di Sicurezza del nostro paese è un coeso di otto criteri che devono rispondere e collaborare insieme e, dove oggi più che ieri, il successo sarà dato dalla capacità di interazione comune. Tanto per intenderci: Collaborazione!

Partiamo con il ripetere – se ne fosse necessario – … sì, è necessario! – cosa brevemente caratterizza la Politica di Sicurezza. Dunque, troviamo la politica estera, l’esercito, la protezione della popolazione, il servizio informazioni, la politica economica, l’amministrazione delle dogane, la polizia e il servizio civile (Bericht des Bundesrates an die Bundesversammlung über die Sicherheitspolitik der Schweiz, 2010). L’esercito è sicuramente il mezzo, l’ultimo mezzo, lo Strumento strategico per eccellenza nelle mani del nostro governo per gestire situazioni di crisi o di conflitto. Ma non per questo la Politica di Sicurezza è l’Esercito o l’Esercito è la Politica di Sicurezza. Errato! Per ulteriori approfondimenti, consiglio i seguenti contributi di offiziere.ch (articolo 1, articolo 2).

Vero anche che, fino alla caduta del Muro di Berlino, lo strumento Esercito era la parte (pre)dominante. Ma oggi, a seguito delle nuove forme della minaccia – riconosciute da tutti gli ambienti quali la politica, il militare e i vari centri di ricerca che si occupano di geopolitica e di conflitti – dobbiamo probabilmente ricalibrare l’importanza dei vari strumenti a disposizione secondo il concetto di geometria variabile.

Anche un'isola seppur isolata, ha bisogno di contatti.
Anche un’isola seppur isolata, ha bisogno di contatti.

A questo punto però è necessaria una breve riflessione per caratterizzare la nuova forma della minaccia che potrebbe caratterizzare la guerra, rispettivamente i conflitti del futuro. La forma della minaccia e dei pericoli la possiamo così suddividere in due categorie; la prima diretta, mentre la seconda indiretta. Nella prima tipologia troviamo così catastrofi naturali o riconducibili alla vulnerabilità della nostra società, problemi di rifornimento a seguito per esempio di conflitti, conflitti sul nostro territorio, problemi economici, spionaggio, attacchi informatici alla nostra infrastruttura, terrorismo, estremismo, organizzazioni criminali, pericoli per la vita e l’esistenza del cittadino, un completo e duraturo black-out. Nella seconda tipologia troviamo la proliferazione di armi di distruzione di massa e i sistemi di lancio a lunga gittata, il fallimento di strutture statali, la migrazione, il cambiamento climatico, le pandemie e lo sviluppo demografico. Seppur non esaustive, queste minacce, rappresentano una base sulla quale intendere la Politica di Sicurezza contemporanea. Chiaramente questa categorizzazione dei rischi necessita continuamente di una sua messa a giorno.

Giunti a questo stadio di questa breve analisi, c’è ora possibile poter tracciare la fisionomia della futura guerra. Giudizioso può essere la rappresentazione della guerra futura in missioni o operazioni condotte dalle forze armate in assenza di uno stato di guerra quali (1) la guerra informatica, (2) la guerra chirurgica, (3) le operazioni congiunte, (4) le operazioni militari diverse dalla guerra (mantenimento della pace, sradicare le droghe illegali, soppressione delle rivolte, assistenza militare, controllo degli armamenti, assistenza in caso di catastrofe, evacuazione cittadini da paesi esteri, lotta contro attività terroristiche). La seconda raffigurazione è caratterizzata dalle operazioni di guerra non militari quali (1) la guerra finanziaria, (2) la guerra terroristica e (3) la guerra ecologica. La seconda tipologia divarica dal concetto di operazione militare. In effetti, questo tipo di operazioni abbraccia tutti gli svariati campi dell’attività umana. Da qui, appunto, possiamo parlare del concetto della Politica di Sicurezza a geometria variabile. A dipendenza della forma della minaccia ne conseguirà una maggiore responsabilità di questo o quel settore della politica di sicurezza.

Questo ha come conseguenza la necessità a livello federale di istituire – e questa è una mia opinione – uno strumento permanente, ripeto permanente che si occupa di Politica di Sicurezza.

Dove i rappresentanti delle varie categorie siedono allo stesso tavolo e dove sono elaborate strategie d’azioni comuni e coordinate. Penso che a questo punto, abbia destato in alcuni di voi l’idea che mi riferisco alla creazione di un dipartimento della sicurezza. Errato! A chi piace la troppa concentrazione di potere? Preferirei parlare maggiormente di uno strumento direttamente subordinato al Consiglio Federale e trasversale ai dipartimenti dove vengano – in qualche forma organizzativa che non è scopo di questo articolo – raggruppati i diversi partner legati alla Sicurezza Nazionale. Questo significherebbe – e ancora una conseguenza – l’accorpamento di alcune funzioni nella forma di distaccamenti, quali possano essere la Polizia federale, il servizio d’informazione, l’approvvigionamento economico del paese, il servizio sanitario coordinato, inclusi membri permanenti dei diversi comparti coinvolti nella Politica di Sicurezza.

Lo spunto che mi ha motivato a scrivere questo contributo, ruotano intorno all’ennesima discussione sullo sviluppo dell’Esercito, sui suoi costi, e sulla sua grandezza.

Ci stiamo scannando al livello intellettuale e filosofico da anni. Il dibattito sulla Politica di Sicurezza è ormai da diversi anni stagnante.

Senza avere in chiaro cosa vogliamo, dove sono state ridotte le spese e ora ci dilettiamo tra il serio e il faceto con argomentazioni prettamente di stampo economico. Purtroppo l’economia non è tutto!

Link: seconda parte

2 commenti su “Politica di sicurezza, tanti enunciati e deduzioni, ma poche concrete conseguenze (1/2)”

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